La svolta “bio” di Lorenzon: primi 30 quintali di uva

Un ettaro è stato impiantato a Soreli, varietà del Friulano, e l’altro a Sauvignon. Le previste 30 mila bottiglie debutteranno però solo l’anno prossimo
Bonaventura Monfalcone-23.08.2019 Vigne-I feudi di Romans-Lorenzon-San Canzian d'Isonzo-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-23.08.2019 Vigne-I feudi di Romans-Lorenzon-San Canzian d'Isonzo-foto di Katia Bonaventura

TURRIACO Alla fine del Parco comunale dell’Isonzo a Turriaco, in direzione di San Pier, si incontra un campo di mais, ma poco oltre spunta un vigneto. Nulla di eccezionale in un’area, quella dell’Isontino, sempre più legata alla produzione vitivinicola. Qualcosa di speciale, però, c’è, perché i due ettari, dove le barbatelle sono state impiantate a maggio del 2018, sono tutti dedicati al biologico. Un settore nuovo in cui l’azienda vitivinicola Lorenzon di Pieris non ha avuto timore di entrare, scegliendo di sperimentare i nuovi vitigni resistenti alla Peronospera e all’Oidio, varietà prodotte dai Vivai di Rauscedo grazie alla collaborazione con l’Università di Udine e la creazione nel 2006 dell’Istituto di genomica applicata, sempre a Udine.



Un ettaro è stato impiantato a Soreli, una varietà derivante dal Tocai-Friulano, e l’altro a Sauvignon Kretos, vitigni a bacca bianca nutriti dalla terra sabbiosa e ghiaiosa a pochissima distanza dall’attuale alveo del fiume. A nemmeno un anno e mezzo dal loro impianto, stanno già regalando i primi grappoli.

«In tutto, quest’anno credo saremo sui 30 quintali per ettaro, mentre a regime dovremmo essere sui 90 per ettaro – spiegano Enzo Lorenzon, che in azienda è affiancato dal figlio Davide, enologo, e dal figlio Nicola, direttore commerciale e marketing –, quindi, in prospettiva, dovremmo avere una produzione di 15 mila bottiglie di Sauvignon e 15 mila di Friulano».

La novità “bio” di casa Lorenzon debutterà comunque sul mercato solo il prossimo anno. Con tutta probabilità con un blend, se non cambierà qualcosa a livello regolamentare, visto che i vini derivanti dalle nuove “varietà resistenti” non possono essere utilizzati con il nome di vitigno, ma solo come Bianco, Rosso, Rosato Igt “Venezia Giulia”.

L’investimento per la cantina Lorenzon, che ha come etichetta di punta “I Feudi di Romans” , non è stato circoscritto solo all’acquisto delle barbatelle delle nuove varietà resistenti, ma anche a un impianto di irrigazione sotterraneo, che, sfruttando la rete a pressione realizzata dal Consorzio di bonifica per ridurre i consumi idrici, bagna le radici della pianta, limitando la quantità d’acqua utilizzata e pure la possibilità che le foglie sviluppino muffe. «Il sistema sfrutta una tecnologia sperimentata e utilizzata nei kibbutz israeliani, in cui il risparmio d’acqua è fondamentale», sottolinea Lorenzon, che ha voluto vederla in funzione sul posto, prima di trasferirla in un contesto che, pure, pare non avere problemi di approvvigionamento.

«In questo nuovo vigneto, ma non solo, c’è un’attenzione nuova al contesto ambientale e non solo alla naturalità del prodotto finale – dive Nicola Lorenzon –. Qui non viene effettuato il diserbo tra i filari, come si cerca di evitarlo anche nei vigneti coltivati con metodi tradizionali». Quelli, poco distanti, in territorio di San Pier d’Isonzo, dove, grazie a un terreno già diverso, più argilloso e sabbioso, si coltivano Cabernet Franc, Ribolla, Chardonnay e Cabernet Sauvignon. I vigneti, bagnati dal sole, sono ancora silenziosi e deserti, ma nel giro di una settimana, perlomeno quelli delle varietà di bianco, si animeranno per la vendemmia, che un maggio piovoso ha rinviato solo di un paio di settimane, senza comprometterne la qualità. —


 

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