La strana moria delle api mette a rischio il miele doc

La produzione del Friuli Venezia Giulia è calata del 70% con un crollo dei ricavi La Regione insedia una task force: «Molto complesso stabilire le cause»
Api al "lavoro"
Api al "lavoro"

TRIESTE. Fino a qualche anno fa la colpa era dei pesticidi, in particolare dei neonicotinoidi. Poi però, anche su sollecitazione europea, quei prodotti sono stati banditi. Eppure, soprattutto quest’anno, le api continuano a morire. E la produzione del miele, in Friuli Venezia Giulia, è letteralmente crollata: secondo il Consorzio apicoltori in provincia di Udine la produzione segna il 70% in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso (con mancati ricavi per 1,5 milioni di euro), ma la stessa stima vale per il resto della regione.

Le api muoiono. Lo ha rilevato anche un vertice convocato dalla direzione Salute, presenti i servizi Sanità pubblica veterinaria e Produzioni agricole della direzione Attività produttive, l’Ersa, il Centro di referenza nazionale per l’apicoltura, nonché i servizi Veterinari delle Ass e del Laboratorio apistico regionale, assieme a rappresentanti dei Consorzi provinciali degli apicoltori e ad alcuni produttori. Esperti che, tuttavia, non hanno trovato un perché unico sullo spopolamento degli alveari. Il fenomeno, si legge infatti una nota di Palazzo, «si è manifestato con caratteristiche differenti rispetto ai casi di moria verificatisi in passato, rendendolo difficilmente riconducibile solo a fattori climatici o a intossicazione da prodotti fitosanitari». Materia «molto complessa – spiega Carlo Frausin, direttore del Servizio fitosanitario e chimico –. I fattori sono diversi. Abbiamo pensato in sede locale a motivazioni climatiche o tossicologiche, a un impiego abusivo dei neonicotinoidi, a componenti virali, ma siamo lontani dal trovare una risposta convincente a un trend che si riscontra dagli Usa all’Australia, ma anche in Bulgaria e in Romania».

In regione sono in particolare parsi insoliti l’estensione uniforme del fenomeno e il comportamento delle famiglie di api sopravvissute, che appaiono costantemente poco numerose e poco produttive, nonostante negli alveari la covata allevata sia abbondante e la flora nettarifera circostante rigogliosa. Ed è apparsa allarmante la previsione che questo pesante stato di indebolimento delle famiglie, unito all’azione di parassiti e virus e all’arrivo della stagione meno favorevole, possa comportare un’ulteriore grave perdita di alveari. Il Centro di referenza nazionale per l’apicoltura, il servizio Sanità pubblica veterinaria attraverso le Ass e l’Ersa continueranno per questo l’attività di monitoraggio già intrapresa sui casi di spopolamento segnalati dagli apicoltori per valutare misure preventive per contenere il fenomeno.

Alveari senza miele ma il Carso si salva dalla morìa friulana
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«Se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non resterebbero che quattro anni di vita». È una frase attribuita ad Albert Einstein, ma non c’è alcuna certezza che il grande fisico si sia mai occupato di arnie e alveari. Bufale a parte, e senza eccedere nel catastrofismo, il calo del prodotto miele è un danno economico non da poco. «Rispetto allo standard siamo effettivamente al 70% in meno, un dato che vale per tutta la regione e probabilmente pure per la Slovenia»¸ conferma Alessandro Podobnik, apicoltore a Opicina e già presidente del Consorzio di categoria in provincia di Trieste. Secondo Podobnik, tuttavia, non ci sarebbe nessuna epidemia di api: «Da quando in regione è stato vietato l’utilizzo dei pesticidi impiegati nella concia del mais, le api non muoiono più. Le minori quantità di miele dipendono dal fatto che le piante non producono più nettare e dall’abbondanza delle piogge di questi ultimi mesi. Dopo di che ci possono essere anche altri fattori su cui nemmeno gli esperti riescono a fare chiarezza».

Di spopolamento degli alveari si parla in realtà già da qualche anno. Un recente studio condotto dalle università di Udine, Bologna e Napoli ha colpevolizzato proprio gli insetticidi neonicotinoidi, tra i più utilizzati in agricoltura prima del divieto. L’esposizione delle api a questo tipo di prodotti indebolisce il sistema immunitario degli insetti favorendo la progressione di infezioni di virus che normalmente sono tenuti sotto controllo dalle difese innate di questi insetti.

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