LA STORIA Una “Caritas” dei privati in aiuto a Felicita e Marian

I due croati dormono da agosto a Trieste sotto il porticato della chiesa di Sant’Antonio. Dal cibo al bucato, una rete di persone che li sostiene. Ma ora arriva il freddo
Foto Bruni 25.11.13 Felicita col marito mentre preparano il giaciglio per la notte
Foto Bruni 25.11.13 Felicita col marito mentre preparano il giaciglio per la notte

Per farsi il letto usano solo cartoni di prima scelta recuperati dai negozi vicini, tovaglie pulite come coprimaterasso una valigia a fare da cuscino e coperte contro il freddo. Per lavarsi c’è l’acqua gelata delle fontane.

Felicita e Marian, coniugi croati di 65 e 60 anni, vivono all’addiaccio da fine agosto sotto il porticato della chiesa di Sant’Antonio. Alle spalle hanno anni di peregrinazioni in giro per l’Europa alla ricerca di un posto dove stare e di un lavoro: hanno testato sulla loro pelle le contraddizioni delle leggi d’immigrazione italiane, svizzere e austriache. Dove hanno potuto farlo, hanno lavorato, per qualche mese, per qualche anno, sottopagati e in nero, finché, proprio nel momento in cui la Croazia è entrata in Europa, sono venuti a mancare anche quei lavori saltuari e poco pagati che fino a ieri avevano consentito loro di sopravvivere.

Hanno lasciato Fiume nel lontano 1998. O meglio, sono scappati da Fiume. Racconta Felicita: «Lavoravo come bibliotecaria a Fiume, sposata per più di vent’anni con un uomo alcolizzato, che ha dilapidato i suoi guadagni nel bere. Nel ’96, non ancora cinquantenne, è morto – dice la donna con tono neutro, per far capire che lei non ha pianto - : vivevamo in un appartamento, che però lui ha lasciato alla madre. Ho scoperto dopo il suo decesso che a me non aveva lasciato nulla, nonostante gli fossi stata accanto per più di vent’anni, e con il mio stipendio di 250 euro ho sempre faticato per mantenermi. Due anni dopo ho conosciuto Marian: una persona stupenda, che mi ha conquistato subito. Ma anche lui era nullatenente e quando mia suocera ha scoperto la relazione ci ha sbattuto fuori anche dall’appartamento dove avevo vissuto una vita. Così abbiamo lasciato Fiume e ci siamo messi in viaggio, alla ricerca di condizioni di vita migliori. Siamo andati in Austria, in un paesino vicino a Vienna, ma lì come irregolari ci hanno messo in una specie di lager e poi caricati su un pullman per rimpatriarci. Siamo scesi prima del confine croato, fermandoci in Slovenia, a Maribor e poi a Capodistria, dove grazie alla generosità di alcune persone siamo riusciti a vivere discretamente per qualche tempo».

Poi via di nuovo, un breve periodo a Trieste e poi in Svizzera, dove Felicita e Marian ricevono lo stesso trattamento avuto in Austria. Rimpatriati a Como raggiungono nuovamente Trieste e l’Italia: qui, a Cormòns e in altri paesi del Friuli, Felicita trova di volta in volta lavori di vario genere: fa la badante per un’anziana signora e le pulizie in ville e ostelli. Ma ovunque si ripete il solito meccanismo: non appena Felicita chiede di essere messa in regola, puntualmente viene licenziata e sbattuta fuori casa. A Trieste la coppia chiede aiuto alla Caritas, dorme per qualche tempo nel dormitorio di via Udine, ma anche lì, sostiene Felicita, vengono mandati via. Si rivolgono a un’assistente sociale, che spiega loro che con la residenza in regola possono accedere a degli aiuti: «Bella scoperta – commenta Felicita -, ma senza dimora e lavoro è impossibile ottenere la residenza».

I veri aiuti anziché venire dalle istituzioni o dalle organizzazioni cattoliche vengono dai singoli. Attorno a loro si crea una piccola rete di solidarietà: ci sono i gestori dell’Hotel Alla Posta che tengono in custodia i loro pochi averi, regalano una notte in hotel e offrono quotidianamente la colazione. C’è la signora Anna Chiarandini, che a nome loro si rivolge alla Caritas di Udine e poi di Trieste, sentendosi comunque rispondere che un posto per la coppia non c’è. C’è la signora Candida, che offre loro pasti caldi e il bucato pulito. C’è la signora Ada e il figlio. C’è Jolanda e c’è Elisa, che ogni mese dà loro qualche banconota per comprarsi il cibo.

Nel dormitorio di San Martino al Campo non ci vogliono tornare perché, dice Felicita, «ci hanno trattato male, aiutano tutti tranne i croati. E poi lì ci sono prostitute, drogati e piccoli delinquenti. Noi non abbiamo niente a che fare con loro, chiediamo soltanto un lavoro per poterci pagare un posto dove stare: non siamo barboni, ma ci tocca vivere come se lo fossimo». Così per non confondersi con gli altri si tengono pulitissimi, a costo di lavarsi sotto l’acqua gelida, e preparano meticolosamente il loro giaciglio per la notte. Ma con l’inverno che incombe, se non salterà fuori un lavoro o una qualche soluzione, la loro vita diventerà ancor più infernale di quant’è stata finora.

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