La storia segreta dello sbarco in Sicilia
di Pietro Spirito
Piccoli, malnutriti, bassi di statura e indolenti. Per aggiunta inclini alla pigrizia, primitivi, violenti e retrogradi, più africani che italiani. Ancora: «sono influenzati da una marcata cultura di origini berbere. Lo scorrere del sangue non li impressiona e non sono spudoratamente venali come i partenopei. Hanno inoltre una forte tradizione di indipendentismo rivoluzionario».
È così che i siciliani vengono descritti nei report classificati “secret” e “top secret”, inviati dai servizi di intelligence alla vigilia dello sbarco di 160mila soldati angloamericani in Sicilia il 9 e 10 luglio 1943. La spettacolare azione aeronavale cambiò le sorti del secondo conflitto mondiale, e fu preparata nel dettaglio non solo dal punto di vista militare, ma anche inviando spie, agenti, infiltrati per attuare strategie di manipolazione del consenso e di guerra psicologica di cui ancora oggi scontiamo le conseguenze. Perché l’Operazione Husky, nome in codice dello sbarco in Sicilia, venne pianificata monitorando «il morale, le emozioni e le condizioni economiche della popolazione italiana». Azione per altro avviata già nel 1941, dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, da una costellazione di apparati di intelligence sia americani che britannici: l’Office of Strategic Services (Oss, l’antenato della Cia), l’Office of War Information (Owi) e il Counter Intelligence Corps (Cic) a Washington, mentre da Londra partivano gli agenti dello Special Operations Executive (Soe), del Political Warfare Executive (Pwe) e dello Psychological Warfare Branch, composto da personale britannico e americano.
Adesso due storici italiani, . Giuseppe Casarrubea e Mario José Cergehino, si sono tuffati nell’oceano di documenti prodotti in quegli anni da questi apparati, carte ora conservate negli archivi inglesi di Kew Garden e in quelli americani di College Park. Dieci anni di ricerche e di studi che hanno dato molti risultati, uno dei quali è la ricostruzione della «guerra psicologica e intelligence nei documenti segreti inlgesi e americani sullo sbarco in Sicilia», sottotitolo dell’ultimo libro di Casarrubea e Cereghino, dedicato appunto all’ “Operazione Husky” (Castelvecchi RX, pagg. 273, Euro 19,50).
Materiale ricco e variegato, quello raccolto dai due storici, in grado di offrire una visione per così dire tridimensionale dello sbarco, permettendo di approfondire temi ed episodi che in alcuni casi sembrano la trama di un film. Come il famoso “Piano Corvo”, descritto in uno documento classificato segreto del 21 luglio 1942. Il piano prende il nome dal soldato Biagio Massimo Corvo, in forze a Camp Lee, in Virginia. “Il soldato Corvo - si legge nel rapporto - è un cittadino americano naturalizzato”. Ha 22 anni, è nato ad Augusta, in Sicilia, ed è negli States da quand’era bambino, nel 1929. Biagio “Max” Corvo è, come suo padre Cesare, un convinto antifascista e ha in mente un’idea: istituire un’unità militare tutta composta da siciliani immigrati da spedire sull’isola con il compito di “entrare in contatto con gli esponenti antifascisti”, e “tramite le azioni di sabotaggio e la diffusione di volantini tra la popolazione, fomenteranno una rivolta a tutto campo”. L’ipotesi del soldato Corvo piace molto all’ Office of Strategic Services che, come noto, la metterà in atto. «Max Corvo - scrivono Casarrubea e Cereghino - arriva a Gela il 14 luglio (1943, quattro giorni dopo l’invasione, ndr), in compagnia del colonnello Eddy. Con loro ci sono anche molti antifascisti scappati dalla Sicilia negli anni Venti”. In realtà, noterà lo stesso Corvo, l’efficacia degli agenti “è stata vanificata e resa quasi impossibile dalla rapidità delle operazioni militari”. Ma molti contatti con “quelli che contano” sono ormai stati avviati, le carceri sono state aperte e assieme agli oppositori del regime anche tanti mafiosi hanno riacquistato la libertà. In breve lo sbarco in Sicilia lascerà dietro di sé una situazione quasi ingestibile per il Governo militare alleato insediato sull’isola, sempre più pressato dalla mafia e dei vecchi oligarghi fascisti, lasciando una difficile eredità all’Italia repubblicana.
Ma i documenti esaminati da Casarrubea a Cereghino definiscono un disegno più ampio e articolato riguardo le attività dell’intelligence alleata in Italia. Come si può leggere in un altro documento segreto, datato 15 marzo 1943, intitolato “Suggerimenti per le attività sovversive da attuare in Italia”. È un vero vademecum ricco di spunti che potrebbero apparire comici se non fossero storicamente tragici. Nel paragrafo sulla resistenza passiva si invitano spie ed agenti a diffondere voci per mettere in cattiva luce l’alleato tedesco, divulgando ad esempio che “i vertici della polizia tedesca esercitano un’influenza preponderante sulla polizia italiana”, o che “sui mercati europei i tedeschi riescono sempre ad acquistare più beni degli italiani”. Si invita poi a sfruttare “le superstizioni o le paure della gente comune”, come le “catente di Sant’Antonio” e la “magia nera”, per “propagare falsi presagi sulla sconfitta delle potenze dell’Asse”.
Ma al di là del quadro storico, concludono gli autori del libro, «sarebbe un errore leggere i documenti di questa raccolta come la mera testimonianza di un momento cruciale del nostro passato». Perché questi materiali, notano ancora Casarrubea e Cereghino, «pongono questioni di grande attualità e ci raccontano alcune emergenze che peseranno in modo decisivo sulla storia italiana e mondiale dei decenni successivi». A cominciare dal ruolo della mafia e dal «processo di militarizzazione dell’Italia che arriva a Comiso», alle «battaglie di Pio La Torre contro i missili atomici all’inizio degli anni Ottanta e ai movimenti No Mous che ora si battono contro l’installazione in Sicilia del Mobile User Objective System della Nato». Intelligence e guerra psicologica, lo vediamo ogni giorno, non sono mai finite.
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