La speleo-missione che riapre le gallerie dell’Acquedotto di Maria Teresa

La Società Adriatica renderà percorribile oltre un chilometro considerato perso da tempo. Due fasi tra fine 2018 e 2019

TRIESTE «Stiamo per rendere completamente percorribile più di un chilometro di gallerie sotterranee considerate oramai perse, alcune delle quali rimaste inaccessibili da oltre un secolo». L’annuncio arriva da Marco Restaino, segretario della Società Adriatica di Speleologia (Sas), il sodalizio triestino alle prese con la riscoperta di uno dei gioielli nascosti della Trieste imperiale: l’Acquedotto Teresiano.

«L’imperatrice Maria Teresa d’Asburgo - si legge nei libri di storia -, con editto del 19 novembre 1749, ordinò la costruzione di un acquedotto per la città di Trieste. Le ricerche idriche vennero affidate all’ingegner Hauptmann Frast, la progettazione generale venne effettuata dal generale Bohn, la direzione lavori venne svolta dall’ingegner Franz Xavier Bonomo. L’intervento si concluse nel 1751». Paolo Guglia, socio-anima della Sas, uno dei massimi esperti del mondo sotterraneo dell’ex porto asburgico, racconta la storia dell’Acquedotto Teresiano: «L’ingresso della costruzione è ancora oggi visibile lungo via delle Cave dove è stata collocata una lapide risalente proprio al Settecento. A quota 97 metri sul livello del mare, vicino alla chiesetta dei Santi Giovanni e Pelagio a Guardiella, si realizzò il Capofonte, edificio semisotterraneo contenente i primi bacini di filtraggio, alle spalle dei quali si costruì una galleria di captazione che si inoltrava nella roccia per più di 230 metri, formando le cosiddette gallerie Superiori».

Il tracciato della conduttura correva lungo la vallata di San Giovanni costeggiando poi le pendici occidentali del colle Farneto ed entrava in città all’altezza dei portici di Chiozza per un totale di circa 10 chilometri di tubature. Questa prima configurazione dell’acquedotto permetteva una portata giornaliera media di 200 metri cubi di acqua per gli usi della città. Con l’inizio del Novecento la struttura perse sempre più importanza tanto che nell’immediato primo dopoguerra l’acquedotto venne staccato dalla rete dell’acqua potabile e declassato ad acquedotto industriale, a causa di problemi di inquinamento dovuti alle abitazioni nel frattempo costruite al di sopra del suo tracciato. «Proprio così - conferma Guglia - e alla fine della seconda guerra mondiale l’acquedotto venne allacciato alla pubblica fognatura, interrompendone definitivamente l’utilizzo dopo quasi duecento anni di onorato servizio».

Il fascino di questo capolavoro di idraulica ha portato i soci della Sas a lavorare a fondo svuotandone l’acqua accumulatasi negli anni. Il tratto interessato attualmente è pari a circa 500 metri: dalla zona di viale Sanzio bassa permetterà agli speleologi di sbucare dietro alla chiesa di San Giovanni decollato in piazzale Gioberti. Un percorso che sarà anche visibile grazie al progetto virtuale in 3D di Cristian Lorenzutti. Grazie invece ai video e alle testimonianze fotografiche realizzati da Max Clementini si può già notare che in effetti il lavoro svolto a valle sta dando i suoi frutti: l’acqua sotto la chiesa di San Giovanni sta calando. «Siamo sulla strada giusta», puntualizza Restaino.

Ma non finisce qui. Durante alcune recenti ricognizioni sotterranee i soci della Sas, con l’ausilio di sonde e telecamerine, hanno confermato l’esistenza di una ulteriore lunga galleria anch’essa semiallagata. «Un progetto dell’Ottocento descrive la realizzazione di una galleria lunga 640 metri in direzione cava Faccanoni: l’abbiamo ritrovata. Una volta messa in sicurezza una frana penetreremo nel cuore del Carso entrando in luoghi in cui nessuno mette piede da più di un secolo», racconta Guglia. I volontari Sas contano di svuotare il tratto sino alla chiesa di San Giovanni entro fine anno. Nel 2019 l’esplorazione dei 640 metri che potrebbero svelare nuove sorprese dell’universo sotterraneo triestino. —


 

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