La Sottostazione elettrica gioiello chiuso al pubblico
Perfetta in ogni dettaglio costruttivo, tirata a lucido come se il calendario avesse compiuto miracolosamente un salto all’indietro di un secolo fermandosi al 1913, quando la Sottostazione elettrica del Porto Vecchio era appena entrata in funzione. I lavori di restauro conservativo di questo gioiello dell’archeologia industriale, costati tra i 3 e i 4 milioni di euro, si sono conclusi nelle linee essenziali già lo scorso marzo, ma l’edificio progettato dell’architetto Giorgio Zaninovich, allievo di Otto Wagner, è inaccessibile al pubblico. Chiuso e ingabbiato in un recinto di serie di reti metalliche che impediscono ai visitatori dell’adiacente Stazione idrodinamica di apprezzarne l’armonia assieme all’accurato lavoro svolto dai tecnici dell’impresa Riccesi per conto dell’Autorità portuale. Non si sa quando la Sottostazione elettrica sarà inaugurata ufficialmente e qualche personaggio pubblico potrà tagliare il nastro tricolore posto di traverso alla porta d’ingresso. Potrebbe essere Vittorio Sgarbi, peraltro da anni di casa in Porto Vecchio; ma c’è anche chi ipotizza la venuta a Trieste del critico Philippe Daverio o del ministro dei Beni culturali Massimo Bray.
Intanto la Sottostazione è diventata preda degli obiettivi dei fotografi che passano per la “bretella” stradale aperta in Porto Vecchio. Molti curiosi si fermano, vedono il “nuovo” edificio libero da armature e teli e puntano i loro apparecchi inserendo la lente frontale tra le “maglie” della rete metallica di protezione. Lì accanto è da tempo visitabile la Centrale idrodinamica; a brevissima distanza continua a essere sbarrato e senza destinazione d’uso il Magazzino 26, il più vasto edificio del porto, ristrutturato con spesa e impegno ingentissimi.
Entro fine mese l’inaugurazione della Sottostazione elettrica dovrebbe essere messa in calendario ma non è ancora certo che dopo la cerimonia triestini e turisti in arrivo per la Barcolana potranno visitarla. Va prima trovato un adeguato numero di volontari che guidino il pubblico dentro l’edificio tra gli antichi strumenti inseriti nei quadri elettrici di marmo e tra gli enormi trasformatori dell’energia elettrica. Gli stessi volontari dovranno illustrare al pubblico il valore storico-estetico dell’edificio progettato da un architetto che all’inizio del Novecento si segnalò in città per la realizzazione di due abitazioni piuttosto importanti, entrambe nella prima parte di via Commerciale: casa Valdoni, al numero 25, fu realizzata per la famiglia d’origine dell’illustre chirurgo Pietro Valdoni. L’altro edificio l’architetto Giorgio Zaninovich lo costruì per sé e per i suoi, al numero 23 della stessa via. Va aggiunto che dal 1910 al 1914 diresse l’ufficio tecnico degli allora Magazzini Generali, antenato dell’attuale Authority, e in questo ambito progettò la Sottostazione elettrica.
Come scrive l’ingegner Edino Valcovich nel volume di Italia Nostra dedicato al Polo museale del Porto Vecchio, il quadro elettrico con i comandi «rappresenta la sintesi di tutta la centrale di trasformazione e rappresenta, come in una nave, le funzioni dell’intera organizzazione produttiva». Ma non basta. «Lo scalone scenografico sembra peraltro comune ad alcune importanti centrali elettriche dello stesso periodo: basta citare quella di Trezzo d’Adda costruita nel 1906 su progetto di Gaetano Moretti».
La Sottostazione elettrica aveva una “sorella” nel Porto Nuovo. Ma il disinteresse e l’incuria ne hanno provocato la distruzione. Entrambe fornivano l’energia necessaria alla complessa macchina portuale. In primo luogo a gru e montacarichi. Quella appena restaurata veniva alimentata fino al 1988, quando cessò l’attività, dalla centrale Enel di Roiano. La tensione di ingresso era di 27mila volt, trasformata poi a 2mila volt, ma anche a 500 per le gru elettriche e a 380 e 220 per l’illuminazione della centrale e degli uffici degli hangar.
Ultimo dato: le numerose manovre che coinvolgevano trasformatori, rifasatori e altri apparecchi elettrici non potevano essere compiute da un solo addetto. Ne servivano almeno due, posti nello stesso edificio ma in punti distanti tra loro. Una norma di sicurezza e rispetto di chi lavora prevista dal progetto.
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