La Slovenia mobilita il sistema sanitario, via al coprifuoco in Serbia e Albania
BELGRADO. Una battaglia a tutto campo. È quella che sta conducendo la Slovenia – 286 contagi fino a ieri pomeriggio, ma con aumenti contenuti negli ultimi giorni – per arginare il virus. «In tutto il Paese» gli ospedali «si stanno preparando per un atteso aumento del numero di pazienti contagiati che necessitino di terapia intensiva», ha informato ieri l’agenzia slovena Sta, anticipando che Lubiana si sta mobilitando per creare «stanze addizionali» e «unità temporanee» per il trattamento dei malati e dei sospetti positivi. In prima linea rimane l’Ukc Ljubljana, centro medico universitario dove ora anche i reparti di ortopedia e dermatologia saranno riconvertiti per essere pronti nei prossimi giorni ad accogliere pazienti, allentando la pressione sulla terapia intensiva.
Nel frattempo, tutti i programmi sanitari non urgenti sono stati sospesi. Si lavora per potenziare la sanità anche lontano dalla capitale, come ad esempio a Sevnica, dove sono stati creati 12 “box” per accogliere sospetti positivi, ha specificato la Sta. Lubiana ha nel frattempo vietato ogni assembramento con più di cinque persone, seguendo il modello austriaco, mentre nel commercio si attendono nuove riduzioni dell’orario di apertura.
Si fa sul serio anche in Croazia, dove il bilancio dei contagiati è salito a 87, ma non è stato confermato il primo decesso per coronavirus, una notizia che era circolata ieri mattina. Croazia dove, ha annunciato il ministro degli Interni Davor Bozinović, dalla passata mezzanotte si va verso la quarantena quasi totale. È stato introdotto il divieto di tutti gli eventi pubblici e sportivi, lo stop agli esercizi commerciali «che non sono essenziali, tra cui saune, piscine, cinema e teatri», ma anche a locali del settore della ristorazione, a parte quelli che consegnano cibi pronti a domicilio.
Di fatto uno scenario quasi all’italiana, con ok all’apertura solo di alimentari, farmacie, pompe di benzina, panetterie. Il trasporto pubblico rimarrà in funzione. La gente potrà uscire di casa ma dovrà mantenere la distanza di sicurezza di un metro. «Il nostro dovere è di proteggere i nostri padri, madri, nonne e nonni», ha detto il presidente Zoran Milanović in Tv.
Comincia a diventare complicata anche la situazione in Serbia, dove i contagiati sono saliti ieri sera a 89, in accelerazione, ha spiegato la premier Ana Brnabić. Dopo la chiusura di scuole, asili e università e la dichiarazione dello stato d’emergenza, Belgrado ha deciso anche di imporre il divieto di uscita dalle proprie abitazioni agli over-65. Tutti, nel Paese balcanico, dovranno comunque rispettare un severo coprifuoco, entrato ieri in vigore: il governo ha prescritto che la popolazione debba rimanere in casa dalle 20 alle 5 di mattina.
A controllare il rispetto delle norme anche l’esercito, di pattuglia con mascherine e armi automatiche in giro per Belgrado, metropoli generalmente vivacissima, ieri desolatamente deserta. Militari sono stati dispiegati anche fuori dagli ospedali, ai posti di confine ancora aperti e all’esterno dei centri per migranti.
Anche in Kosovo (19 casi) il presidente Hashim Thaci ha firmato ieri il decreto per la stato d’emergenza, ora all’esame del Parlamento. In Bosnia i positivi confermati sono 39. In Macedonia del Nord – dove pure ieri è stato proclamato lo stato d’emergenza – 35, in Bulgaria 92, in Romania ben 260. Ed è intanto caduto l’ultimo “baluardo” dell’immunità da contagio, il Montenegro, l’unico Paese europeo rimasto finora scevro dal virus. Contagiate sono state due donne, di recente tornate in patria da Usa e Spagna. Podgorica ha da tempo introdotto misure draconiane contro il Covid-19, tra cui lo stop ai trasporti pubblici, la chiusura delle scuole e dei locali pubblici, lasciando aperte solo farmacie e supermercati.
Durissime le misure anche in Albania, dove i casi sono saliti in pochi giorni a 59 e dove il governo ha imposto ieri il coprifuoco. Si potrà uscire solo dalle 6 alle 10 e dalle 16 alle 18. E mai in gruppo.
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