La Slovenia al voto tra vecchio e nuovo

Domenica saranno chiamati alle urne 1,7 milioni di elettori. In lizza per la vittoria il movimento di Cerar e l’Sds di Jansa
Miro Cerar
Miro Cerar

Per la seconda volta al voto in tre anni, ancora alle urne per decidere chi dovrà assumersi il duro compito di condurre il Paese verso la stabilità, lontano dai marosi della crisi. Ancora alle urne, domenica in Slovenia, Paese dove sono 1,7 milioni gli elettori chiamati a esprimersi nel voto anticipato, deciso a seguito della caduta del governo Bratusek. Secondo i sondaggi, la sfida per scegliere 90 parlamentari è segnata dalla corsa alla vittoria di due partiti, dallo scontro tra vecchio e nuovo. Da una parte, il movimento fondato poche settimane prima del voto dal giurista Miro Cerar, uomo nuovo – criticato però per la genericità del suo programma - che veleggia intorno al 30% con il suo Smc (Stranka Mira Cerarja), un indice della disaffezione degli elettori verso i partiti tradizionali. Sembra recuperare posizioni l’Sds di Janez Jansa, quotato ora al 25%, ma – se le analisi degli umori popolari sono corrette – incapace di colmare del tutto il divario con l’Smc, malgrado la campagna «contro i partiti di regime» condotta dal carcere da Jansa e le manifestazioni di piazza, massicce, a suo favore.

Janša entra in carcere, “fan” in lacrime


A esacerbare il confronto, i toni sempre più accesi di Jansa che accusa una ipotetica futura coalizione di sinistra di mirare all’introduzione dei diritti gay in Costituzione e alla limitazione della libertà religiosa. Comunque vadano le cose domenica, quelli che usciranno dalle urne come i due partiti più forti dovrebbero, sulla carta, raccogliere il favore del 60% dei votanti, dimostrazione della polarizzazione del Paese. Ma chiunque vincerà dovrà fare i conti con il sistema proporzionale, che obbliga a costruire coalizioni interloquendo con i partiti minori. Solo altre due formazioni appaiono in grado di superare senza problemi la soglia di sbarramento, ossia il Partito democratico dei pensionati (DeSUS), che potrebbe toccare il 9-10% - e sarà l’ago della bilancia per la formazione del nuovo governo – e i socialdemocratici (Sd). Appesi a un filo, Nuova Slovenia, i popolari (Sls) e l’Alleanza di Alenka Bratusek.
In estrema difficoltà, Slovenia Positiva, indebolita dalla scissione interna e la Drzavljanska Lista (Dl). Domenica sera – i seggi chiudono alle 19 – con i primi exit poll il quadro sarà più chiaro. La certezza, fino a quel momento, che il futuro governo avrà davanti a sé un arduo compito. L’esecutivo – che si formerà solo dopo lunghe e insidiose consultazioni – dovrà «risolvere il problema delle finanze pubbliche», «assicurare il rispetto» delle richieste Ue, «che lascia scarso margine di manovra», leggi «tagli alla spesa», e forse «aumentare» la pressione fiscale, ha ricordato l’agenzia di stampa slovena “Sta”. Su tutto, pesa poi il nodo del congelamento del processo delle privatizzazioni deciso da Bratusek, che ha reso sospettosi gli investitori esteri e che minaccia di «ritardare l’afflusso degli incassi» ricavati dalla vendita degli asset pubblici. E infine la questione del prolungamento delle misure di contenimento all’incremento degli stipendi pubblici, necessario per disciplinare il budget. Chiunque andrà al governo, dovrà rimboccarsi le maniche.
 

Riproduzione riservata © Il Piccolo