La sindaca di Monfalcone vieta le preghiere collettive nei due centri islamici

«Stop a zone franche di predicazione senza controlli. Regole e legalità da rispettare», sostiene Cisint

Tiziana Carpinelli

MONFALCONE La notizia deflagra a metà pomeriggio. Dapprima con stringate, ma dure parole di un’agenzia che preannuncia il servizio in esclusiva del talk politico “Fuori dal coro” cui parteciperà la sindaca Anna Cisint e poi con una nota istituzionale diramata alle 18.31 dall’addetta stampa municipale, che circoscrive il caso: il Comune di Monfalcone ha assunto «due provvedimenti amministrativi, notificati oggi (ieri, ndr) alle strutture interessate, che inibiscono, con effetto immediato, l’utilizzo dei due centri islamici cittadini come luoghi di culto». Nell’agenzia di stampa, il tono è di “pancia”, meno istituzionale, si legge: «L’integrazione non è un obiettivo che hanno i musulmani integralisti. Come a me è stato detto da alcuni imam: “Noi non siamo interessati all’integrazione, ma alla sostituzione”. Il modello che loro applicano è quello del loro Paese, non della nostra civiltà occidentale».

Quanto all’azione amministrativa, si tratta di due ordinanze dirigenziali «a tutela della pubblica incolumità», scaturite da 4 mesi di controlli in cui l’ente spiega di aver riscontrato usi difformi da quelli previsti dalla destinazione dei locali. Di qui il comando a ripristinarne l’impiego corretto. Bou Konate, presidente onorario di uno dei due centri, il Darus Salaam di via Duca d’Aosta, si dichiara però all’oscuro: «Non ho visto nulla né posso dire alcunché. Parlerò quando saprò. Di cosa e di come si chiude». «Se c’è qualcuno che si sta agitando – termina l’ex assessore ai Lavori pubblici della giunta Pizzolitto, ingegnere di origini senegalesi –, non siamo di certo noi. Ci sentiamo anzi serenissimi e auspichiamo che l’agitazione cessi. E pure se il centro chiuderà, continueremo a stare tranquilli. Non siamo politici, non siamo in campagna elettorale, non ci scomodiamo».

Due i fatti essenziali della giornata di ieri: una riunione di mezz’ora, convocata in municipio alle 16.30 per informare esecutivo e maggioranza, ma senza preannunciare il tema. E la successiva irreperibilità telefonica, almeno per alcune ore, della sindaca Anna Cisint, che poi si fa sentire. Mentre silenzio da parte di tutti gli assessori della giunta: una volta partita l’agenzia, il cellulare squilla a vuoto. Per tutti tranne uno: Paolo Venni con delega al Bilancio che, impegnato in una riunione sul tema dei rifiuti, sostiene di non saperne nulla, dei provvedimenti, proprio come Konate: «Non conosco l’atto, non ne ho mai sentito parlare». Non si trova neppure il comandante della Polizia locale. Risponde invece subito il Questore Paolo Gropuzzo che conferma d’esser al corrente del provvedimento amministrativo, un’«ordinanza» che entra nel merito della conformità urbanistica al Piano regolatore dei due immobili, uno di proprietà dell’associazione culturale islamica (via Duca d’Aosta, con destinazione direzionale), e l’altro in affitto da un privato (via Don Fanin, uso commerciale), peraltro fuori regione, con correlate difficoltà di notifica. A scanso di equivoci, nessun sequestro: le persone possono entrare nei locali per pulirli, fare attività, ma non per radunarsi in preghiera, come par di capire. Nessuno ha fornito l’ordinanza, né risultava all’albo o sul sito istituzionale fino a ieri sera. A ogni modo come chiarito dal Questore, le forze dell’ordine, che a seguito del conflitto in Medio Oriente stanno monitorando i luoghi sensibili, tengono d’occhio la situazione.

In serata un’altra nota di Cisint. «L’atto – si legge – illustra le violazioni delle condizioni di sicurezza e ordine pubblico e accerta la palese violazione delle norme urbanistiche. I controlli effettuati, anche su segnalazione di tanti cittadini, hanno portato a riscontrare come tali spazi, che formalmente ospitavano associazioni, nei fatti fossero veri e propri luoghi di culto islamico, con un’affluenza di persone al di fuori di ogni capacità, fino a mille presenze, e in contrasto con le disposizioni d’uso. Si tratta di fini non consentiti e di afflussi tali da generare rischi concreti all’incolumità pubblica». Insomma, uno spazio così «sovraffollato da non consentire neppure l’accesso all’interno». Dunque «un serio pericolo per l’ordine e l’incolumità, specialmente per l’assenza di presidi di sicurezza». Cisint riconduce i provvedimenti a un’esigenza di «legalità e rispetto delle norme». «Si sgretola – arringa la sindaca che a suon di atti aveva già impedito l’avvio della ristrutturazione dell’ex Hardi in chiave di nuovo e più grande polo culturale – il muro di un tabù che tollera l’esistenza di centri islamici come zone franche di predicazione, impermeabili al controllo, dove non si pratica la lingua italiana e chiunque può trovare rifugio». «Ora – termina – le associazioni sono chiamate a rispettare le regole del piano regolatore, valide per tutti. Vogliamo rispondere alle istanze di sicurezza in un contesto dove anche nelle nostre strade si manifestano espressioni che inneggiano al fondamentalismo e terrorismo palestinese». —

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