La Serbia arresta i carnefici di Srebrenica

La svolta di Belgrado a vent’anni dal massacro, azione portata avanti in collaborazione con la Procura di Sarajevo
Una donna davanti al memoriale di Srebrenica
Una donna davanti al memoriale di Srebrenica

BELGRADO. Vent’anni dopo il genocidio di Srebrenica, Bosnia e Serbia collaborano per punire i responsabili. L’altro ieri otto persone sono state arrestate dalla polizia serba in diverse città del paese, con l’accusa di aver partecipato a quello che fu il più efferato massacro di civili compiuto in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale. L’11 luglio 1995 le truppe serbo-bosniache entrarono nell’area di Srebrenica, ufficialmente protetta dalle Nazioni Unite, e uccisero oltre 8mila musulmani. Oggi, con la cattura dei primi otto sospettati, si apre un nuovo capitolo nella giustizia post-bellica nella regione. Ma anche nella collaborazione tra Belgrado e Sarajevo, dato che proprio l’operazione congiunta delle procure dei due paesi ha reso possibile questo risultato.

«È importante sottolineare che questa è la prima volta che il nostro ufficio tratta l’uccisione di massa di civili e prigionieri politici a Srebrenica», ha dichiarato il viceprocuratore serbo per i crimini di Guerra Bruno Vekaric. Fino a oggi le autorità di Belgrado si erano limitate a consegnare al Tribunale penale internazionale dell'Aja (Tpi) i maggiori criminali di guerra ricercati dalla giustizia mondiale. Tra i principali, l’ex presidente della Repubblica serba di Bosnia, Radovan Karadži„, arrestato nel luglio 2008, e il generale Ratko Mladi„,, considerato l’artifice del genocidio di Srebrenica e consegnato dalla polizia serba nel 2011. Entrambi sono tuttora all’Aja in attesa del verdetto. Con il blitz di mercoledì, i tribunali nazionali serbi potranno ora istruire dei processi contro i responsabili del massacro.

Le persone finite in manette facevano tutte parte di una brigata speciale della polizia serbo-bosniaca, come ha precisato il procuratore di Belgrado Vladimir Vukcevic. Tra di loro, il più noto è Nedeljko Milidragovic, detto “Nedjo il Macellaio”, l’allora comandante della brigata. Dopo il conflitto Milidragovic si era rifatto una vita nella capitale serba come imprenditore di successo, così come il suo vice Aleksa Golijanin (anch’egli arrestato) che risiedeva tranquillamente a Sremska Kamenica, vicino a Novi Sad. Uno scenario già visto proprio con Karadži„ e Mladi„, anch’essi catturati dopo lunga latitanza. «La Serbia sta mandando un messaggio chiaro ai responsabili dei crimini di guerra: è ancora possibile essere giudicati, anche a 20 anni di distanza”, si rallegra Velma Šari„, direttrice del Centro di ricerca sul post-conflitto a Sarajevo. «Si tratta di un’ottima notizia - prosegue - anche se i capi di imputazione indicati parlano di “crimini di guerra” e non di “genocidio” come invece dovrebbe essere». Per la studiosa bosniaca dietro all’azione del procuratore di Belgrado c’è una precisa decisione politica: «Penso che la ragione principale di quest’operazione sia la volontà serba di accelerare il processo di integrazione europea».

A Belgrado Jasmina Lazovi„ è meno entusiasta. «Purtroppo non posso non sottolineare che questi arresti arrivano 20 anni dopo i fatti», afferma la coordinatrice dell’Ong Iniziativa giovane per i diritti dell’uomo: «Spero comunque che questo sia il primo passo verso una più grande cooperazione tra i paesi della regione, perché molto spesso vittime e carnefici si trovano in due stati diversi. In ogni caso noi seguiremo con attenzione i processi per vedere quale ne sarà il verdetto finale».

Per ora l’unica conseguenza certa è che tra pochi mesi, quando ci sarà la commemorazione ufficiale del massacro di Srebrenica, le autorità serbe avranno un risultato concreto in più da mostrare ai partner europei.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo