La salvezza dell’Africa è nelle biotecnologie
TRIESTE Un famoso motto attribuito a Confucio recita: «Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita». Un concetto che la scienziata keniota Segenet Kelemu ha tradotto e fatto proprio.
Lei è convinta che «fare ricerca in Africa e per l'Africa si può», e a questo impegno ha dedicato tutta la vita. Prima tornando in Africa, dopo 25 anni di studi all'estero, per dare il proprio contributo allo sviluppo del continente. Poi dirigendo il BecA Hub, un centro di ricerca d'eccellenza internazionale per le bioscienze in campo agricolo sito a Nairobi, dove si aggiornano e lavorano in laboratori d'avanguardia molti scienziati africani, che così non sono costretti ad emigrare per farlo. «L'aggiornamento nella scienza è cruciale per la sicurezza alimentare – spiega la scienziata keniota -. Finché noi africani non avremo noi stessi la conoscenza adatta a risolvere i nostri problemi soffriremo la fame”. Oggi Kelemu dirige l'ICIPE, il Centro Internazionale per lo Studio della Fisiologia e l'Ecologia degli Insetti di Nairobi, dove continua a lavorare per lo sviluppo dell'agricoltura in Africa.
Inserita da Forbes Africa tra le cento donne più influenti del 2014, arriverà nella città giuliana in occasione di Trieste Next, per partecipare, il 25 settembre alle 18 presso il Salone di Rappresentanza della Regione di Piazza Unità, a una tavola rotonda organizzata da Twas (Third World Academy of Sciences) dal titolo “Chiedi all'Africa. Le biotecnologie in ambito agricolo possono fare la differenza?”. Insieme a lei Alessandro Vitale, dirigente di ricerca del Cnr all’Istituto di Biologia e Biotecnologia Agraria a Milano, dove si occupa di biologia molecolare e cellulare delle piante, la giornalista Alessandra Ressa, che modererà l'incontro e Michele Morgante, professore di Genetica presso l'Università di Udine.
«Se l'idea è quella di “nutrire il pianeta”, come dice l'Expo – spiega proprio Morgante – è un'illusione pensare che il modello italiano, con la sua enfasi sui prodotti biologici e Slow Food, possa essere la ricetta per sfamare il resto del mondo. Stime recenti avvertono che nel 2050 la popolazione mondiale potrebbe raggiungere quota 10 miliardi. E che, grazie a un maggiore benessere, saranno sempre di più le persone che passeranno da una dieta a base di soli cereali e vegetali a una dieta a base di alimenti animali, molto più dispendiosa a livello di risorse agricole e idriche».
Per sfamare il pianeta si prevede dunque che da qui al 2050 dovremmo riuscire a produrre circa il 50% di alimenti in più senza aumentare la superficie coltivata, riducendo l'impatto ambientale della produzione agricola, utilizzando meno fertilizzanti e prodotti chimici e meno acqua. «Le biotecnologie - contiua Morgante - sono una delle possibili soluzioni a queste esigenze: molti ritengono che per vincere questa sfida non si possa prescindere da un pesante investimento nella ricerca biotecnologica». Eppure anche in Paesi economicamente benestanti la percezione legata agli Ogm è differente, basti prendere proprio l'Italia e gli Stati Uniti: «Credo che in Europa il dibattito sia molto più ideologicizzato rispetto agli Usa e molto legato al nostro modello economico. In Italia la cultura progressista abiura le biotecnologie e abbraccia un modello di agricoltura per ricchi, mentre il principe del capitalismo, Bill Gates, con la sua fondazione finanzia la ricerca biotecnologica per i Paesi poveri.
L'opposizione italiana agli Ogm si è giocata tutta intorno al Monsanto 810, un mais modificato geneticamente per resistere a determinati parassiti – prosegue Morgante –. Ma ci sono tanti altri prodotti e tecnologie che vanno oltre gli Ogm, intervenendo in maniera mirata per provocare modificazioni genetiche. Penso per esempio al genome editing, una tecnologia che induce delle mutazioni in un punto preciso del genoma senza l'inserimento di Dna estraneo, analoghe a ciò che si potrebbe generare in natura. Sono tecnologie con grandi potenzialità in campo biomedico e agricolo: ora sarà da vedere come verranno recepite dalla legislazione e quale sarà la reazione dell'opinione pubblica».
Un ultimo tema caldo che sarà trattato nel dibattito è legato infine alla proprietà intellettuale: le biotecnologie sviluppate nei Paesi occidentali vengono protette attraverso brevetti. Ma se non se ne concede l'utilizzo nei Paesi in via di sviluppo la loro utilità per “sfamare il pianeta” viene inevitabilmente meno.
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