La roccia degli istriani “made in Canada”
TRIESTE. Era il 1957 quando arrivarono in Canada i primi istriani, provenienti da Trieste e dai campi profughi, dove erano confinati dopo il conflitto mondiale. L’ufficiale Jack Mitchinson, dopo averli accolti al porto di Halifax, li accompagnava a Chatham-Kent, Canada, 250 chilometri da Toronto, 100mila abitanti, le case attorno al fiume Thames. Per loro era l’inizio di una nuova vita. Jack è ancora vivo. Ha novant’anni. In tanti, riconoscendolo, hanno pianto domenica scorsa durante le celebrazioni per la roccia commemorativa dedicata agli istriani di quella cittadina nel cuore dell’Ontario. Il primo monumento istriano del Canada.
Perché gli istriani a Chatham? «Perché la compagnia canadese Redpath, produttrice di zucchero, era venuta a Trieste per reclutare lavoratori da impegnare nei campi di barbabietole», racconta Cristiano Suffi, emigrato dal capoluogo regionale in Canada nel 2006 dopo aver sposato una istriano-canadese. «Non c’è il mare, non ci sono le montagne. Ma è un posto speciale».
La storia di quegli anni del secondo dopoguerra la tramanda l’associazione istriana di Chatham, la più numerosa del Nord America. L’ha fondata, allo scopo di ufficializzare l’istrianità in Canada, un imprenditore di Capodistria, Antonio Perini, nel 1988. Nel 2012 è subentrata alla guida la figlia Cristina. A “La Voce del Popolo”, il fondatore ricordava qualche anno fa: «Alla partenza da Trieste ero un ragazzo che viveva questo viaggio come una bellissima avventura verso l’ignoto. Durante la lunghissima traversata dell’Oceano, ebbi l’occasione di conoscere tantissime persone alle quali, dopo 50 anni, sono legato da un fortissimo e profondo sentimento d’amicizia. L’unica cosa negativa che ricordo è il primo impatto emotivo con il Canada. Sbarcammo ad Halifax in una giornata grigia e fredda. Ci fecero salire subito su un treno solitamente adibito al trasporto delle merci e affrontammo in quelle condizioni impossibili due giorni di viaggio interminabile per raggiungere Chatham. I pensieri, le sensazioni, le supposizioni riempivano ogni spazio del nostro tempo, l’ignoto era dietro l’angolo, e questo creava angoscia. Ma una volta giunti a destinazione iniziai a tranquillizzarmi, la città era proprio bella».
Nel 1990 quella istriana di Chatham fu la prima associazione privata straniera alla quale venne concesso di alzare la propria bandiera, quella blu dell’Istria con la capra nel centro, sui pennoni del municipio della città. «Il riconoscimento – sottolinea Suffi – dell’importanza di un gruppo di persone che con il loro contributo hanno aiutato a “spingere” la comunità verso un futuro migliore». La pietra, la targa, la capra e il motto (“Ierimo, semo e saremo”) è adesso il simbolo di tre generazioni integrate nella società canadese. Trovano posto nel Kingston Park, il più frequentato parco di Chatham. Una cerimonia partecipata, toccante, fa sapere Suffi, alla presenza delle autorità: il parlamentare canadese Dave Van Kesteren, il sindaco Randy Hope, il consigliere Art Stirling, coordinatore dell’evento.
Per l’Italia c’erano l’ambasciatore Gian Lorenzo Cornado, il console generale a Toronto Giuseppe Pastorelli e la vice console onoraria a Windsor Liliana Scotti Busi. «È stato bellissimo vedere i politici canadesi apprezzare ogni nostro contributo in questi decenni di emigrazione, ma un immenso ringraziamento va anche all’ambasciatore che ha mostrato un immediato interesse per la nostra storia e l’evoluzione di questa comunità. Il suo discorso, genuino e sincero, è arrivato diretto al nostro cuore e nelle nostre anime di italiani lontani dalla Patria».
«Come davanti a Mitchinson, quando è stata scoperta la pietra hanno pianto in tanti – prosegue Suffi –. Mentre padre Daniel Bombardie la benediva, il ricordo è andato anche al suo predecessore, scomparso pochi anni fa, don Giovanni Gasperutti, l’amico di tutti gli istriani nel mondo». Chiusura con brindisi e cena al Rossini’s. Ristorante, naturalmente, istriano.
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