La “rivoluzione” di Basaglia va avanti dal lontano 1978
«Non è importante il fatto che in futuro ci siano o meno manicomi e cliniche chiuse, è importante che noi adesso abbiamo provato che si può fare diversamente, ora sappiamo che c’è un altro modo di affrontare la questione; anche senza la costrizione» (Franco Basaglia, intervistato da Maurizio Costanzo).
Il 13 maggio 1978 la legge n. 180 viene approvata in Parlamento: impone la chiusura dei manicomi e regola il trattamento sanitario obbligatorio istituendo servizi d’igiene mentale pubblici. Promotore della riforma psichiatrica, oltre che psichiatra di successo prima a Gorizia e poi a Trieste, è Franco Basaglia.
Il dottor Paolo Fonda, psichiatra e psicoanalista, direttore del “The Han Groen Prakken Psychoanalytic Institute for Eastern Europe” ha vissuto la riforma Basaglia in prima persona. Entrato nel 1970 come assistente nella clinica psichiatrica di Trieste appoggiò l’operato di Basaglia che dal 1971 ne divenne il direttore.
«È l’esperienza -afferma - più importante del ventesimo secolo. È la conferma che la malattia mentale può essere gestita fuori dagli ospedali». La riforma Basaglia, che dal 1978 si è allargata in tutta l’Europa ha alle spalle episodi turbolenti, soprattutto nella città in cui è nata, Trieste. L’iniziale preoccupazione e le polemiche dei triestini dopo l’apertura del manicomio di San Giovanni, erano frutto soprattutto dello situazione politica di quegli anni. Il conflitto tra la destra e la sinistra faceva sentire i suoi echi anche in quest’ambito. L’équipe di Basaglia promosse numerose assemblee, riunioni, incontri con la cittadinanza. La popolazione triestina cominciò allora a comprendere la situazione di disagio dei malati, ma soprattutto capì che le persone malate non erano “cose” da spostare da un luogo all’altro, bensì persone che avevano bisogno di veri rapporti umani. Il clima politico favorì comunque il cambiamento.
Fonda afferma infatti che con la riforma Basaglia si è attuato il rinnovamento di tutta la società. Con il suo movimento, Psichiatria Democratica, il fondatore della concezione moderna della salute mentale ha difeso la concezione di umanità, di dignità del malato ed il diritto civile e politico di vivere una vita libera ed umana.
Fonda ha più volte sottolineato il cambiamento sociale che differenzia il periodo prima del 1978 e gli anni successivi. Prima del ’78 infatti egli stesso ha sentito il peso di un controllo sociale severo verso tutti, ma tanto più oppressivo verso i malati mentali, gli orfani, i disagiati e tutte le altre persone con particolari difficoltà. Per ogni “categoria” infatti c’era un’istituzione specifica. I “diversi” non dovevano “disturbare” la società ed è per questo che venivano esclusi dalla comunità. «Uno tra i ricordi che mi sono rimasti impressi quando lavoravo in clinica è quello di un’infermiera che non poteva fare la caposala perché era divorziata», racconta lo psicoanalista.
La società di oggi è invece profondamente cambiata; oggi viviamo un controllo sociale che è ben più nascosto e profondo, la psicoanalisi al giorno d’oggi è “un problema dell’individuo” e non “un problema sociale”, è l’individuo che deve risolverselo da solo. Inoltre l’assistenza psichiatrica viene vista come ovvia, naturale, invece che un ramo della medicina che deve ancora svilupparsi con aiuti concreti per lo studio e la ricerca di metodi nuovi. L’ostracismo verso il mondo della psichiatria è dunque ancora presente, anche dopo la riforma Basaglia. Ma nonostante ciò la legge 180 è comunque una rivoluzione.
Caterina Cossutta
Classe II L
Liceo classico
F. Preseren
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