La rinascita di Enrico, ragazzo down diventato pastore

A vent’anni ha trovato la sua strada lavorando con Haron a Petrovizza, sul Carso, dove accudisce 185 pecore istriane
Di Cristina Serra

Lo avevamo lasciato con un attestato di maturità a indirizzo turistico. Lo ritroviamo operativo sul campo, mentre accudisce il suo gregge di 185 pecore di razza istriana (detta anche carsolina o Istrian Pramennka), portandole al pascolo e riportandole all’ovile, due volte al dì. Enrico Cancelli, ventenne con la sindrome di Down, percorre tre giorni la settimana i sentieri del Carso attorno a Petrovizza, nel comune di Monrupino: 300-400 ettari di terreni in cui viti si alternano a pietraie che si alternano a muretti a secco. Li conosce tutti, quei sentieri, e le pecore che brucano in libertà lo sanno. E al momento di rientrare, seguono Enrico come i bambini della fiaba seguivano il pifferaio di Hamelin, sospinte e allineate dall’insostituibile amico Pino (il cane da pastore).

Quella di Enrico è la storia di una caduta e della successiva rinascita. La caduta giunge durante l’adolescenza, quando le normali difficoltà dell’età lo spingono a chiudere rifiutando ogni contatto verbale con il mondo.

La rinascita è figlia di una fortunata serie di circostanze, dalle quali nasce anche l’associazione di volontariato Terra del Sorriso Onlus, dove Enrico e altri ragazzi diversamente abili lavorano assieme a compagni normodotati, in quella che è diventata una miscela virtuosa di entusiasmo e produttività.

«E’ stato un incontro casuale ma benedetto, quello che ci ha uniti», racconta Bianca Mestroni, mamma di Enrico, parlando del sodalizio con Manuela Pasco educatrice e promotrice del progetto, e Haron Marucelli, imprenditore agricolo e tutor di Enrico.

«Da una serie di felici esperienze vissute da ragazzi portatori di handicap a contatto con la vita dell’azienda agricola è nata l’idea di creare Terra del Sorriso, diventata Onlus sei mesi orsono. In questa realtà, Enrico è tornato alla vita: lavorando con Haron ha scoperto in sé risorse enormi, e ha capito di avere un posto nella società, di cui va giustamente fiero».

Mentre parliamo Enrico ci osserva di sottecchi, si agita imbarazzato ma poi ride usando gli occhi come solo lui sa fare. Gli chiediamo: «Scommettiamo che conosci le tue pecore una per una?». Annuisce a raffica con rapidi movimenti del capo. «Hai anche una preferita?» «Sì», è il sibilo che intuisco, più che udire veramente.

«Non lo puoi apprezzare veramente, se non hai conosciuto Enrico in passato. Ma questo sussurro è il segno del grande cambiamento che ha fatto in fattoria», spiega il paziente Haron, indicando a Enrico di avviarsi all’ovile per finire il lavoro di cui va molto fiero.

E prosegue: «Questa attività è una scommessa e insieme un sogno. Ora le pecore sono gravide, a marzo nasceranno gli agnellini. Lì incomincerà il lavoro duro per Enrico, che deve nutrire i più deboli con il biberon». Raffica di sì col capo. Sorriso. Fuga in avanti.

Perché una scommessa, chiedo. «Perché queste pecore sono una razza in via di estinzione», dice Marucelli. «Chi le tiene, lo fa solo per ricevere i contributi dall’Ue. Noi, che possediamo il gregge più numeroso in Italia, crediamo in questa razza forte, ruspida e nel progetto che sta dietro».

Le pecore istriane, rispetto a razze più blasonate come le bergamasche, sono poco produttive: mezzo litro di latte al giorno contro i due e mezzo tre delle cugine. «Il loro latte, però, è assai più proteico e nutriente», aggiunge Haron, e con esso si produce un ottimo formaggio pecorino. «Puntiamo ad aumentare il numero di capi. Solo così potremo incrementare la mungitura, mettendo in moto un volano che finora stenta a prendere il vento».

In cantiere tante idee: dalla ristrutturazione di una sede che possa ospitare attività e visite, all’impiego in azienda di ragazzi in disagio sociale e adolescenziale, per offrire loro una scelta. Intanto Enrico ha vinto la sua scommessa dando così una speranza a tanti ragazzi che si trovano nelle sue condizioni.

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