La Regione taglia i permessi ai consiglieri comunali
La Regione taglia i permessi ai consiglieri comunali e provinciali. Con effetto su tutto il Friuli Venezia Giulia e dunque anche su Trieste, dove sino al 6 agosto scorso vigeva la possibilità, per i dipendenti pubblici o privati eletti nelle assemblee degli enti locali, di prendersi la giornata di permesso retribuito dal lavoro nelle date in cui era calendarizzata una seduta di Consiglio. Questo in base a una norma in deroga a quanto sancito a livello nazionale nel 2011, con modifica al decreto legislativo 267 del 2000. Da meno di un mese - ma gli effetti in concreto si avranno da settembre quando l’attività consiliare ripartirà -, però, non è più così: Fvg allineato al resto d’Italia. In pratica, i consiglieri eletti che siano anche dipendenti, nel settore pubblico o in aziende e realtà private, hanno ora «il diritto di assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento». Contando che a Trieste le sedute in aula vengono abitualmente convocate dal tardo pomeriggio in poi, lo schema in molti casi sarà: giornata di lavoro più Consiglio comunale. Proprio come già accade per i lavoratori autonomi.
La novità deriva dall’abrogazione, disposta dall’articolo 65 della legge regionale 18 del 17 luglio scorso (entrata appunto in vigore il 6 agosto con la pubblicazione sul Bur) sulla disciplina della finanza locale in Fvg, del comma 74 dell’articolo 13 della legge regionale 18 del 2011 cioè la Finanziaria 2012, che aveva attivato la deroga alla norma nazionale. La notizia si è diffusa nelle ultime ore, a partire da Muggia, il cui Comune ha inviato ai propri consiglieri una comunicazione ufficiale al riguardo.
A palazzo Cheba, l’effetto dell’abrogazione si avrà su una manciata di consiglieri, posto che gli altri sono liberi professionisti oppure pensionati. Diversamente, ad esempio, dal capogruppo del Pd, Marco Toncelli, dipendente di Fincantieri e che dovrà rivedere la propria organizzazione “politica” nei giorni di Consiglio: «Sicuramente, da un punto di vista oggettivo, nessuno può negare che questo intervento comporterà dei risparmi per le amministrazioni», evidenzia in primis Toncelli. Così, infatti, gli enti locali interessati non dovranno più pagare all’impresa privata la giornata di permesso del lavoratore assente per impegni da carica elettiva. «D’altro canto, alcune delibere da affrontare - riprende l’esponente dem - hanno la necessità di un momento di discussione e approfondimento precedente ai lavori d’aula, al di là di quanto avviene nelle Commissioni. Il diritto all’assenza era quindi utile, ma di certo non alzeremo barricate su questo, in un momento poi in cui vi è la necessità di fare risparmi».
Dal versante dell’opposizione, il forzista Piero Camber (dipendente pubblico, lavora alla Direzione regionale dei Beni culturali) ricorda, quando ancora sedeva in Consiglio regionale, come «fatti i debiti controlli, fu il nostro capogruppo Galasso a segnalare la questione in aula. Così si arrivò alla deroga per il Fvg, norma che non è mai stata impugnata. La giornata di permesso era una necessità, non un privilegio». L’articolo 79 della legge nazionale 267 del 2000 prevede inoltre che «nel caso in cui i consigli si svolgano in orario serale, i predetti lavoratori hanno diritto di non riprendere il lavoro prima delle ore 8 del giorno successivo; nel caso in cui i lavori dei consigli si protraggano oltre la mezzanotte, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l’intera giornata successiva». Questi due passaggi rimangono sempre validi. Il secondo ha effetto nel caso di sedute-maratona come spesso capita con quelle sul bilancio: ore piccole, doppio gettone di presenza e permesso il giorno dopo.
Ma come mai la Regione ha deciso di procedere all’abrogazione della deroga in Fvg? «Ci siamo allineati al sistema nazionale per una scelta, non c’era alcun obbligo - spiega l’assessore regionale alle autonomie locali, Paolo Panontin -. Si è deciso per l’uniformità di trattamento rispetto a quanto avviene nel resto d’Italia e inoltre di contenere gli oneri che derivano per le amministrazioni pubbliche trattandosi di permessi retribuiti».
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