La Regione mette fine alla “guerra dei tatuaggi”
TRIESTE. Nessun controricorso. La Regione accetta la sentenza del Tar del Friuli Venezia Giulia che ha impallinato la legge su piercing e tatuaggi e riscrive il regolamento. Se le precisazioni su aghi cannule per la foratura e autoclave a vapore per la sterilizzazione, formazione degli operatori e cautele per le donne in gravidanza convinceranno la terza commissione, i diretti interessati avranno un manuale di riferimento senza più dubbi di interpretazione.
Il caso si era aperto la scorsa primavera quando l’Associazione tatuatori, sede nel Lazio, si era vista dare ragione dai giudici amministrativi su quattro dei sei punti contestati del regolamento, approvato dalla giunta Serracchiani nell’aprile 2014, attuativo della legge 7/2012 “Disciplina delle attività di tatuaggio, di piercing e delle pratiche correlate”.
Una legge che puntava a stabilire le regole dalle condizioni igienico-sanitarie alla formazione, fino al tema del consenso informato. Non mancavano indicazioni sulla dimensione dei locali (non meno di 12 metri quadrati per l’area di lavoro), servizi igienici per il pubblico e pavimenti facilmente lavabili e disinfettabili. Ancora più dettagliata la parte relativa ad aghi e “pistole”.
Il Tar respingeva il ricorso sugli spazi dei locali e sull’obbligo di dare al cliente informazione sui pigmenti dei tatuaggi, ma smontava l’articolo 7, “Attrezzatura per attività di piercing”, assecondando la tesi dei ricorrenti secondo la quale i dispositivi meccanici sono utilizzabili «esclusivamente» nel lobo dell’orecchio e non, come disponeva invece il regolamento regionale, nel padiglione auricolare, «ove viceversa può operarsi solo con ago cannula».
Secondo i giudici, posto che la carne molle è diversa dalla cartilagine, «è del tutto logico che diversi siano gli strumenti e le tecniche di foratura». E ancora il Tar accoglieva il ricorso sulla mancata precisazione delle diverse classi delle autoclavi a vapore attraverso cui sterilizzare gli strumenti di lavoro. E criticava la Regione anche sul fronte della formazione: andava prevista la promozione di corsi distinti per attività di tatuaggi e di piercing. E pure sul mancato obbligo di informare le clienti sui rischi derivanti dal sottoporsi alle pratiche in questione durante l’allattamento.
Spiegato che, «in una valutazione complessiva della controversia», si è deciso di non proporre appello, la giunta ritocca ora i punti bocciati. Dispone quindi che il piercing «è eseguito mediamente ago cannula o ago da piercing, forbici o pinze, pinze ad anelli e monili».
Precisa che l’autoclave a vapore deve essere «idonea alla sterilizzazione di strumenti cavi e porosi». E interviene sulla formazione e sulle mamme, sconsigliando tatuaggi e piercing durante la gravidanza e l’allattamento.
Tutto risolto, probabilmente. E polemiche archiviate. La sentenza aveva infatti alimentato lo scontro tra tatuatori. L’Atpi Friuli Venezia Giulia, che aveva collaborato nel 2012 alla stesura della legge, non le aveva mandate a dire. Difeso il lavoro fatto a suo tempo dalla commissione salute della Regione e dagli uffici della direzione centrale, il presidente Daniele Abramo, contrattaccava: «Ignobile e ingiustificato che una associazione non rappresentativa né presente in Friuli Venezia Giulia possa cercare di sfiduciare una legge nata con i migliori propositi».
Secca la replica del legale rappresentante dell’Associazione tatuatori Eliseo Giuseppin: «Evidentemente, anziché dare atto della fondatezza delle censure mosse alle norme regolamentari, si preferiva continuare a operare con applicazione di norme errate, con assoluta mancanza di tutela per gli operatori del settore». Letta la delibera di giunta Abramo spegne però il fuoco, sottolineando con soddisfazione che il regolamento potrà finalmente diventare operativo: «È la cosa che conta di più visto che quello che ci premeva era regolamentare un settore in cui operano troppi soggetti improvvisati, la cui preparazione è fondata su corsi di formazione on line».
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