La Regione in retromarcia sul Rossetti “nazionale”

Parla l’assessore Torrenti dopo la linea del no alla fusione con il Css di Udine espressa dal cda del Teatro: «Aumento di costi che non ci possiamo permettere»
Di Fabio Dorigo

Teatro nazionale arrivederci. Tra tre anni forse. La Regione, principale sostenitrice del progetto, fa marcia indietro. Alla fine hanno vinto le resistenze del Rossetti. La fusione tra lo Stabile regionale del Friuli Venezia Giulia, il Css e l’Accademia Nico Pepe di Udine non si farà. O meglio, non s’ha da dare. «La decisione definitiva sarà presa attorno al 10 dicembre, ma la ricognizione in corso del progetto ha evidenziato l’insostenibilità dei costi» spiega l’assessore regionale a “mezzo servizio” alla Cultura Gianni Torrenti. «Stiamo ancora raccogliendo dati. C’è da fare un ragionamento sui costi e i vantaggi. E attualmente sembrano prevalere i costi». Ma a quanto dà, Torrenti, il Teatro nazionale? Non ci scommetterebbe troppo. «Non me la sentirei di dire che lo dò a 2 o a 5. Abbiamo sempre saputo che era un percorso difficile dal punto di vista tecnico, ma un obiettivo vantaggioso per la regione. Il problema è che comporta un repentino aumenti dei costi che non ci possiamo permettere».

L’incontro richiesto dal cda del Rossetti con i soci principali (Comune e Regione) non c’è ancora stato, ma rischia ormai di essere l’incontro che certifica la morte definitiva del Teatro nazionale (mai nato) e la rassegnazione ai famigerati Tric (Teatri di rilevante interesse culturale), tre dei quattro potenziali localizzati a Trieste (Rossetti, Contrada e Sloveno). «Sembra emergere chiaramente che il meccanismo messo in modo dal decreto Valore Cultura aumenterebbe in modo considerevole i costi di entrambe le strutture (Rossetti e Css). Si rischierebbe di avere più contributi dal Fus ma anche molti più costi» spiega Torrenti conti alla mano. «Così come è scritto oggi il decreto, si rischia un considerevole aumento dei costi di produzione. Si parla di qualche centinaia di migliaia di euro. Costi significativi». E quindi addio ai sogni nazionali. «Bisogna capire il vantaggio reale. Se prendi 100mila euro di contributi in più, ma ne spendi 250mila forse non ne vale la pena» aggiunge l’assessore. Tanto rumore per nulla sulla fusione teatrale tra Trieste e Udine? «L’approfondimento fatto fin qui servirà in ogni caso al di là delle gelosie territoriali. Si sono poste le basi per ipotesi di collaborazione in particolare con la scuola Nico Pepe. Al di là che si vada in una direzione, si sono gettate le basi per una collaborazione non campanilistica tra gli enti. Diciamo che la questione del teatro nazionale ha funzionato come pretesto. E che, indipendentemente dalla scelta finale, si possa arrivare a un protocollo di collaborazione» assicura l’assessore. Anche perché come suggerisce il presidente del Rossetti Milos Budin, si potrebbe pensare al teatro nazionale fra tre anni, sempre che il ministero riapra le domande (il decreto non è chiaro neppure su questo). «È un’idea positiva. Tra tre anni potremmo essere pronti per il teatro nazionale. Non abbiamo mai voluto farlo a tutti i costi. Abbiamo solo voluto verificare se c’erano le condizioni» dice Torrenti. Il problema è assumersi il rischio di restare fuori dal giro dei teatri nazionali. «Se i teatri nazionali diventano sette o otto sarebbe un errore essere rimasti fuori. Un’occasione persa. Ma se sono, come sembra il ministero voglia, tre o quattro allora non sarebbe un problema. Visto che i teatri nazionali riguarderebbero solo le grandi città. Il problema è che nessuno sa cosa produrrà il decreto. È un’incognita. Per noi resta prioritaria la sinergia tra i teatri regionali» spiega l’assessore. Il Teatro nazionale può attendere.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo