La Regione Fvg contro Roma per il maxiscippo di fondi
TRIESTE Si arricchisce di una nuova sfaccettatura il ricorso alla Corte costituzionale da parte delle Regioni speciali e delle Province autonome contro alcune norme della legge di Stabilità del governo Renzi. La giunta Serracchiani ha infatti deciso di aderire all’iniziativa contro il governo amico anche per contestare la modalità di attuazione del Piano di azione per la coesione, il Pac, creato alla fine del 2011 e successivamente “riprogrammato” dallo Stato.
Il Pac contiene una serie di impegni di investimento sul territorio da parte di Roma: nel caso del Friuli Venezia Giulia si tratta di quasi 70 milioni, 15 dei quali “riprogrammati” retroattivamente dal governo, per coprire parte delle decontribuzioni previste nella manovra di bilancio nazionale del 2015. Un eufemismo per dire che quei soldi non sono più nelle disponibilità della Regione, nonostante il Pac italiano fosse stato approvato a suo tempo dall’Ue proprio in nome dell’impegno di Roma a non cambiare la destinazione geografica dei finanziamenti. A palazzo non si misura peraltro molto ottimismo su ciò che resta del Pac e si teme la sua completa erosione nei prossimi anni di riprogrammazione in riprogrammazione. Il vicepresidente della giunta, Sergio Bolzonello, è fermo: «La partita del Pac è legata al modo di concepire il rapporto fra Stato e Regioni: quando c’è un accordo fra due parti, l’accordo va mantenuto e lo Stato non può ora cambiare le carte in tavola, togliendo risorse promesse alle Regioni».
La vicenda viene da molto lontano ed è intricata, tanto che bisogna tornare ai tempi della giunta Tondo per ritrovare il capo di un filo che comincia con il Por Fesr 2007-2013, il Programma operativo con cui ciascuna Regione attinge a fondi europei e statali per sostenere competitività e occupazione, attraverso linee d’intervento di vario genere. Il programma venne all’epoca dotato di 303 milioni: 74 dell’Ue e 229 di cofinanziamento nazionale di cui 159 statali e 70 regionali. Un’occasione ghiotta per investire sul territorio, eppure almeno in parte sprecata dalla maggioranza delle Regioni.
Il Fvg non fece eccezione: risale all’aprile 2012 l’ammissione da parte della giunta Tondo dei «gravi ritardi» nell’utilizzo delle risorse che l’Europa chiede di cantierare secondo tempistiche molto stringenti, verificate con scadenza biennale. L’esecutivo regionale sapeva che, senza un’accelerazione nell’attuazione dei progetti sostenuti dal Por Fesr, sarebbe scattato il disimpegno automatico dei fondi, ovvero la riduzione d’ufficio degli stanziamenti per gli anni rimanenti, con l’effetto di comprimere a cascata il corrispondente cofinanziamento statale.
Il problema era d’altronde su scala nazionale. Già nel 2011 il governo aveva evidenziato che una parte consistente delle amministrazioni regionali non era in grado di spendere gli aiuti comunitari nei tempi previsti. Nell’impossibilità di cambiare passo all’attuazione degli interventi cofinanziati sul Por Fesr, l’Italia scelse allora di rinegoziare al ribasso l’entità dei finanziamenti, riducendo d’intesa con l’Ue il numero di progetti su cui investire e potendo dunque stare dentro la tabella di marcia di Bruxelles. Un vero paradosso, da cui scaturì il Piano di azione per la coesione, varato dal governo Berlusconi il giorno prima della sua caduta nel novembre 2011. Nel caso del Fvg, il Pac prese in carico i quasi settanta milioni che la Regione non riusciva a utilizzare a causa della complessità procedurali relative ai progetti su cui aveva scommesso. Il Por Fesr regionale si ridusse così da 300 a 233 milioni e la differenza fu spostata appunto nel Pac, che prese in carico le azioni in ritardo del Fesr nelle varie parti d’Italia e le risorse corrispondenti, impegnandosi a realizzare il tutto con tempi più dilatati.
Si trattò di un respiro di sollievo soprattutto per Roma, dal momento che la riallocazione derivava quasi in toto dal cofinanziamento statale, che per il Fvg corrispondeva a 67,5 milioni. E il respiro di sollievo è durato in realtà fino a oggi, visto che della somma in questione il Pac ha finora riversato ben poco sul territorio regionale, nonostante gli impegni. All’epoca la misura dovette apparire gradita alla giunta che nel febbraio 2012 dichiarava in una delibera gli «elevati rischi di realizzazione» del Por Fesr: gli investimenti effettivamente sostenuti erano infatti il 31% in meno di quanto previsto.
L’esecutivo Tondo era insomma in difficoltà a spendere un terzo delle risorse a disposizione e cercò dunque di aumentare il numero e la velocità di attuazione dei progetti basati su fondi Por Fesr. Decise allo scopo di stringere un secondo accordo con la società Ecosfera, che fin dall’inizio del programma aveva fornito assistenza tecnica per la gestione, evidentemente non efficace, delle dotazioni. Il nuovo incarico costò alle casse regionali 1,7 milioni, che si sommarono ai 4,4 del primo contratto stipulato in seguito a regolare bando di gara: un totale di 6,1 milioni spesi per perdere i quasi settanta finiti nel Pac. Una ricca parcella, garantita per di più a una società di consulenza come Ecosfera, finita al centro di indagini per corruzione, consulenze fittizie e appalti truccati in Abruzzo.
E non finisce qui, perché l’Unione non sembra perdonare chi non si mostra in grado di spendere i suoi finanziamenti, tanto da restringere nei cicli successivi le risorse messe a disposizione di amministrazioni giudicate lente. Non pare dunque casuale che il Por Fesr 2014-2020 abbia assegnato alla Regione 231 milioni, in linea con quanto speso alla fine del primo programma 2007-2013, che pur partiva da 300 milioni. Fra i settanta finiti nel Pac e i settanta non contenuti nel nuovo Por Fesr, il Fvg ha perso così circa 140 milioni: una cifra che avrebbe rappresentato una risorsa importante per il bilancio regionale, per le imprese e quindi per l’occupazione.
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