La protesta dei 14mila regionali e comunali
TRIESTE. I sindacati del comparto unico non intendono aspettare oltre. Del resto, come ripetutamente denunciato, attendono il rinnovo contrattuale dal 2009. E adesso, forti della sentenza della Corte costituzionale del giugno 2015 che ha dichiarato l’illegittimità del regime di blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, sono decisi a proclamare lo stato di agitazione a tutela dei 14mila dipendenti di Comuni, Province e Comunità montane.
L’iter L’ipotesi è che la procedura venga avviata il 4 aprile. A quel punto, secondo le norme, entro 5 giorni lavorativi sarà possibile cercare un’intesa davanti al prefetto di Trieste. Sullo sfondo, in assenza di strette di mano, c’è lo sciopero del pubblico impiego del Friuli Venezia Giulia.
L’ultimo vertice I recenti incontri con l’assessore regionale Paolo Panontin non sono stati convincenti. Il 2 febbraio scorso, raccolti i documenti delle categorie sul disegno di legge che ridisegna il comparto, Panontin annunciava per fine mese un ulteriore passaggio di approfondimento e la sintesi finale. Niente di fatto, invece. Ma soprattutto, osservano i sindacati, non un riscontro concreto, da mesi, sulla richiesta di rinnovo contrattuale contenuta in un una proposta di novembre che quantificava i risparmi prodotti dalla stallo: 490 milioni di euro. Una premessa economica per convincere i datori di lavoro ad aprire la trattativa.
Le cifre Non è emersa ancora la quantificazione delle risorse necessarie all’aumento degli stipendi, ma non c’è dubbio che i soldi ci sono, è la convinzione delle categorie. Citate le stime di Confindustria (gli effetti del blocco dei contratti hanno significato una perdita del 10,5% del potere di acquisto dei salari), a livello regionale, dal 2009 a oggi, i risparmi per i mancati rinnovi di due tornate contrattuali vengono stimati in 183 milioni, cui vanno aggiunti i 306 milioni effetto della mancata copertura del turnover, con la perdita di 2mila posti di lavoro tra Regione ed enti locali. Si parla in sostanza di circa 80 milioni all’anno rimasti in cassa dal 2010 al 2015.
Il rimpallo Materiale consegnato alla delegazione trattante di parte pubblica, oltre che all’assessore Panontin e ai presidenti di Anci, Upu e Uncem, già il 18 novembre. Con tanto di richiesta di convocazione di un «incontro immediato». L’unica risposta, datata 9 dicembre, è del presidente della delegazione Carmine Cipriano che rimpallava la responsabilità ai datori di lavoro: «Nel manifestare ampia disponibilità per l’attivazione del tavolo contrattuale si evidenzia che, in assenza di direttive e di disponibilità delle necessarie risorse finanziarie, per il momento non appare possibile procedere in tal senso».
Le dimissioni Da quella risposta, non una parola in più. Anche perché Cipriano si è dimesso poco dopo per motivi personali. Il sindacato sussurra di contrasti con la Regione, ma Roberto Finardi, il direttore generale, fa sapere che «non risulta». La protesta sindacale sul contratto? «Tra le questioni critiche c’è anche la definizione del fondo di produttività. Aspettiamo che il governo emani il decreto che ci consentirà di orientarci su determinate percentuali e a quel punto riapriremo il tavolo», precisa il dg. Ad agevolare il percorso la nomina nell’ultima seduta di giunta del sostituto di Cipriano: il nuovo presidente della delegazione trattante è l’avvocato Luca Tamassia.
Il caso Uti A creare ulteriore attrito è però la questione delle Uti. A due settimane dalla costituzione per legge, i sindacati lamentano di non essere stati convocati da nessun ente in regione per definire piani di mobilità e di gestione delle funzioni che le Province trasferiranno alle nuove aggregazioni. Un quadro di incertezza che porterà già la prossima settimana alla proclamazione dello stato di agitazione.
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