La “principessa” canta Mina e la bocciofila apre le danze - FT

I campi del circolo in inverno sono chiusi per la pioggia: «Servirebbe una copertura» All’Orto botanico i paladini delle ortensie Maurizio e Miran attendono arrivi marzo
Lasorte Trieste 03/02/17 - Rione S.Luigi, Via Aldegardi, Frutta e Verdura Slavica
Lasorte Trieste 03/02/17 - Rione S.Luigi, Via Aldegardi, Frutta e Verdura Slavica

GIRALDI. «La botanica, mia unica consolazione, mi distrae dagli affanni di questa vita miserabile». A scrivere queste parole è l’erborizzatore Moritz Prihoda, in una lettera indirizzata a Carlo de’ Marchesetti nel dicembre del 1877, in riferimento alla loro passione comune. Sono passati quasi centocinquant’anni ma in egual sostanza - differente la forma - la si può ritrovare proprio all’ interno dell’Orto Botanico, nel rione di San Luigi. Il cancello automatico aspetta con impazienza l’8 marzo, data dell’anno scelta per la riapertura stagionale di questo giardino che molti triestini non hanno mai visitato. «Accogliamo studenti, gruppi di urban sktechers (disegno dal vivo, nda), turisti che provengono nella maggior parte dei casi dall’area britannica e tedesca, dove la sensibilità nei confronti del mondo vegetale è maggiore» chiarisce così Nicola Bressi, direttore dei Musei scientifici del Comune di Trieste. «I numeri parlano di quasi 6000 presenze all’anno». Una specie di parco pubblico, aperto fino al 15 novembre e dove lavorano come dipendenti anche Maurizio e Miran. «Proteggiamo le peonie, le ortensie, gli iris e le salvie, oltre alle fioriture stagionali e alle collezioni di piante tra le più diverse» racconta Maurizio. All’interno di questo spazio il tempo si ferma per un attimo perché il leccio piantato dal de’ Marchesetti accompagna i visitatori verso l’uscita, non solo quelli non vedenti per i quali esiste un apposito percorso bensì anche e soprattutto chi qui dentro non c’ha mai messo piede.

 

 

L’attraversamento pedonale disegnato a terra conduce a un gruppo di edifici chiamato in tre diversi modi a seconda di quanta memoria si possieda: se si è un po’ in là con l’età saranno case dell’Icam, a cinquanta e poco più diventeranno Iacp e se si è giovani verranno chiamate Ater. Come scrive Mauro Covacich nel suo “Trieste sottosopra” questo complesso «resta un monumento all’urbanistica ma più ancora al senso di civiltà dell’architettura di scuola austriaca». Che vengano chiamate in un modo o in un altro, in effetti non fa molta differenza. Ciò che colpisce è che vengano qui per studiarle persino dalla Danimarca. «Qualche anno fa» racconta Walter Grandis, presidente della bocciofila di via Biasoletto «sono entrati due studenti di Copenaghen che volevano avere informazioni su questi edifici qui di fronte». Il circolo delle bocce il pomeriggio assomiglia ad una sala da ballo, di quelle ormai dimenticate. Nives, vicina al novantesimo compleanno fa una specie di karaoke sulle note di Mina, chiesta espressamente da Renato che sta giocando a tresette. «Dopo el ’54 se gavemo imbarcado per l’Australia, con mio marì e mio fio che gaveva tre anni» ricorda Nives strofinandosi un bracciale. La chiamano “principessa” in ragione della scintillante eleganza che sfoggia. Sugli scaffali del book-crossing si trovano le illustrazioni del “Borghesia eroica” di Carpinteri e Faraguna, splendido esempio di satira passata sulla classe politica locale, nonché di estrema attualità.

Walter ha uno stanzino tutto suo. «Il circolo conta 230 soci e la maggior parte di essi non vive a San Luigi». I campi in inverno sono chiusi a causa del maltempo. «Ci servirebbe la copertura, credo che con essa potremmo riuscire a migliorare ancora di più la presenza e l’ambiente stesso». La sala accoglie Albino, “Maci”, Claudio e Marco, Simone e Massimiliano, rispettivamente presidente, vice e segretario della Sezione Giovani. Intelligente e coraggiosa lungimiranza in un rione dove moltissime attività hanno chiuso e dove la parola «dormitorio» è diventata di uso comune. «È vero che c’è meno vita oggi di quanta non ce ne fosse una volta» annuisce Marina della latteria Bibidi Bobidi Bu «tuttavia sopravvive troppa retorica nel lamentarsi da parte della gente. Qui dentro almeno cerchiamo di legare il tessuto sociale, la gente del rione viene a bere un caffè, comprare il latte o qualsiasi cosa possa servire». In effetti nella mezz’ora successiva i protagonisti di questo viaggio nel quartiere intitolato al Gonzaga si palesano: Mattia, Nico «che no vojo nomi sul giornal», Vittorio, Ivan e una signora trentina. Tutti osservati da una targa che si legge dietro al bancone: «Chi leggi el giornal per più de 10 minuti pol leggerlo a vose alta».

 

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A San Luigi la posta funziona solo la mattina. Della pescheria è rimasta solamente una scritta sbiadita in via Biasoletto di fronte le case “dei americani”. Delle due macellerie di un tempo neanche l’ombra. La panetteria chiusa sei anni fa. La fotografia dei ragazzini che giocavano a lavre o a portòn ormai un autentico miraggio. In via degli Aldegardi chi sopravvive è Slavica, originaria di Matulji, borgo vicino a Fiume e che da vent’anni gestisce un negozio di frutta e verdura.

L’autobus numero 26 arriva fino in via Felluga di fronte al campo da calcio. Qui scendono frotte di piccoli calciatori che per prima cosa si ritrovano ad osservare una “baracca” che assomiglia a una fusoliera di un aereoplano che nasconde una bella storia. «L’abbiamo recuperata ad Artegna negli anni dopo il terremoto del Friuli nel ’76. Aveva ospitato sicuramente qualche famiglia che aveva perso tutto» ricorda Ezio Peruzzo, factotum del San Luigi Calcio intento a mettere a posto una sedia di legno. «È vero che il rione è diventato un dormitorio, non si può negare. Tuttavia noi rappresentiamo l’attività sociale con più impatto, contando 320 tesserati e lavorando moltissimo anche con il calcio amatoriale». Nel dirigersi verso il centro si possiedono scelte ripide, di quelle che se nevica assumono le sembianze di vere e proprie piste da discesa libera, oppure alcuni itinerari che potrebbero condurre alla Casa dello Studente Sloveno di via Ginnastica, al Distretto Sanitario chiamato semplicemente “Farneto” o a conoscere l’azienda edile di Andrea Varnerin, che dagli anni ottanta realizza interventi in alta quota fino ad altezze di 90 metri. Ci sono strade che portano alla vecchia osteria di via dell’Eremo e sentieri che conducono al “Boschetto” dove la presenza dei cinghiali scappati qualche anno fa da una villa di strada per Opicina, semina inquietudine tra la gente del rione.

(3 - continua. Le precedenti puntate sono uscite il 27 e il 29 gennaio e il 3 febbraio)

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