La “porta” di Trieste chiusa ai migranti, 200 fermati in 20 giorni. FOTO

TRIESTE Quando gli agenti hanno spalancato il portellone del furgone, dentro erano in dieci o forse più. Affamati e disidratati. «Non so come facevano a respirare in quello spazio così stretto, chissà da quanto tempo viaggiavano là dentro...», sospira un poliziotto, ricordando uno degli ultimi interventi di queste settimane. Difficile restare indifferenti davanti a volti sfiniti e impauriti.
Scene quasi all’ordine del giorno sul Carso triestino, ora che il ministero degli Interni ha ordinato controlli a tappeto lungo i valichi. Dal 9 luglio, da quando è partita l’operazione, sono ben duecento i profughi intercettati al confine con la Slovenia. Quattro i passeur arrestati.
A volte i migranti vengono sorpresi nei camion e nelle auto, nascosti come possono. Altre volte a piedi. Già, perché ormai i trafficanti si sono organizzati con una sorta di intelligence. Ingaggiano informatori, disegnano rotte e mandano in avanscoperta gli “apripista”, i complici con il compito di perlustrare le frontiere. Quando si accorgono che le zone sono battute dalle pattuglie, come in questo periodo, anziché arrivare in Italia, si fermano prima. Si fermano e scaricano i migranti in Slovenia, a qualche chilometro dal valico. In gruppi di dieci, venti o trenta, spesso afgani e pachistani, che s’incamminano nei boschi e poi sbucano all’improvviso sui bordi delle strade verso Trieste. Spesso di notte o all’alba.
Fernetti, Pese, Rabuiese sono i centri più grossi, ma ormai i transiti si verificano un po’ dappertutto nel territorio provinciale. Nei paesini, nei piccoli borghi, nei rioni periferici e pure nelle piste ciclabili che collegano l’altipiano alla città. I vestiti e le borse dei profughi rinvenuti per terra, come accaduto nei sentieri della Val Rosandra qualche settimana fa, sono la testimonianza più tangibile del fenomeno.
I numeri in mano alla Questura, che coordina l’intera attività, confermano che il flusso c’è e non si arresta. Di quei duecento afgani e pachistani bloccati in queste settimane, trenta irregolari sono stati riammessi in Slovenia; tredici, invece, gli espulsi. Gli altri erano migranti che avevano fatto richiesta di asilo in altri Paesi (per loro si attuano le procedure per il rientro nello Stato in cui è stata presentata la domanda) o, ancora, persone che intendono fare richiesta di asilo in Italia. Una ventina, infine, i minori accolti e portati nelle strutture di accoglienza preposte.
Il ministero ha messo in campo non poche forze: il territorio provinciale, come precisa Chiara Ippoliti, vice dirigente dell’Upgsp (Ufficio prevenzione generale e soccorso pubblico), adesso è pattugliato dalla polizia di Frontiera, dalla Polfer, dalla Stradale, dal Reparto prevenzione crimine di Padova, dai carabinieri e dalla Guardia di finanza. Oltre che dallo stesso personale della Questura che, come detto, tiene le redini dell’intero servizio. In contemporanea lavorano pure la Squadra mobile e la Digos, soprattutto per le indagini sui trafficanti di clandestini.
Un’attività assicurata giorno e notte su cinque turni e che proseguirà fino a «cessata emergenza». Una trentina gli agenti e i militari che perlustrano i valichi costantemente. Controlli non semplici, anche perché la frontiera in questo periodo estivo è attraversata dal via vai di turisti di ogni nazionalità: sloveni, croati, austriaci e tedeschi, soprattutto. È in mezzo a questo flusso che vengono sorpresi i passeur con i migranti.
Gli agenti e i militari in servizio fermano i mezzi ritenuti sospetti. Allungano la paletta e invitano il conducente ad accostare. Il primo accertamento è sulla carta d’identità. Ciascun nominativo viene registrato e verificato sui data base elettronici di cui dispongono le pattuglie: banche dati condivise tra tutte le forze di polizia dell’area Schengen. La verifica, in particolare, consente di sapere se il soggetto è già schedato o se ha precedenti. La trascrizione ha anche un’altra utilità: in caso di eventuali inchieste successive, gli agenti e i militari sapranno da dove è passato l’indagato, quando e con chi era. Accertamenti del genere possono servire anche per scovare trafficanti di droga o latitanti in fuga. È di questi giorni, peraltro, l’arresto di due giovani albanesi che tentavano di eludere i controlli a Fernetti. I malviventi, presi dalla polizia di Frontiera e dai carabinieri di Aurisina con il sostegno dei militari del Reggimento Piemonte Cavalleria di Trieste, erano a bordo di un’auto rubata in Slovenia.
Ma l’attenzione, adesso, è focalizzata sul flusso di profughi, altrimenti incontrollabile. E con questo dispiegamento di polizia, carabinieri e Guardia di finanza sulle frontiere, i controlli sono a centinaia. Anche sui pullman. «I confini sono monitorati secondo le disposizioni che abbiamo ricevuto», osserva ancora Ippoliti, la vice dirigente dell’Upgsp. «Il fenomeno va gestito, perché i migranti non possono essere dei fantasmi che vagano sul territorio e di cui non si sa nulla. Sono persone che vanno identificate e tracciate».
Dopo gli accertamenti di rito, gli agenti aprono i portelloni dei furgoni. Non è affatto raro imbattersi in gruppi di profughi, spesso giovani, stipati come sardine. Il primo passo, in questi casi, è chiamare le ambulanze per sottoporre le persone agli esami sanitari.
Poi si attuano le procedure amministrative previste dalle normative in materia, in Questura o negli uffici della polizia di Frontiera.
Talvolta gli arrivi non si verificano nei pressi delle zone confinarie. Circa un mese fa, ad esempio, sono stati sorpresi ben trentasei profughi di nazionalità afgana e pachistana alle porte della città. In viale Miramare, per l’esattezza. Da quanto risulta, sarebbero stati fatti scendere da un furgone in un punto non distante da Barcola. È stata una signora ad accorgersi della scena e a contattare le forze dell’ordine. Alcuni giorni dopo è stato intercettato un altro gruppo di migranti scaricati a notte fonda poco prima del confine. Si erano subito messi in cammino nei boschi. La polizia li ha fermati in via Costalunga .
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