La perpetua di padre Rocco: «Ora don Piccoli confessi»
TRIESTE «Era sul pavimento in posizione fetale, dalla parte opposta rispetto a quella da cui scendeva abitualmente dal letto. Infatti le ciabatte erano ancora al loro posto. Sulle lenzuola c’erano tracce di sangue...ho chiamato subito l’ambulanza». Sono passati quasi quattro anni da quella mattina del 25 aprile. Erano circa le 7 e 45. Eleonora Dibitonto, la perpetua di monsignor Giuseppe Rocco, il sacerdote di novantadue anni trovato senza vita nella sua stanza della Casa del Clero di via Besenghi, ricorda ancora molto bene i fotogrammi di quei momenti.
Li ha dovuti ripercorrere, uno a uno, nell’udienza dell’altro ieri davanti ai magistrati e davanti a don Paolo Piccoli, imputato per omicidio. Il processo è ripreso proprio con la testimonianza della signora, settantacinquenne, e dell’ex capitano dei carabinieri, Fabio Pasquariello, che all’epoca dei fatti aveva condotto le indagini assieme ai Ris di Parma. In aula sono spuntati altri particolari sul sacerdote imputato: Pasquariello ha riferito che al prete è stato sequestrato un ostensorio risultato rubato all’Aquila (dove don Piccoli in precedenza era incardinato) e un pc con foto pornografiche.
I pm Matteo Tripani e Lucia Baldovin in tribunale hanno fatto ascoltare la registrazione della chiamata al 118 della perpetua. Si sente la voce concitata della settantacinquenne mentre parla con i sanitari: «Son in seminario, il sacerdote se ga sentido mal...Casa del Clero...ghe apro il porton principale». E l’operatore dall’altra parte della cornetta: «Respira? Risponde?». Dibitonto: «El xe per terra». Il telefono resta attivo anche quando la conversazione si interrompe: la donna, probabilmente in preda al panico, non lo chiude. «Pino! Pino! Pino!», urla. L’accusa degli inquirenti si regge proprio sul sangue che gli investigatori hanno rinvenuto sul copriletto di don Rocco. Le tracce ematiche appartengono a don Piccoli, come rilevato dai Ris, e dimostrano che il religioso indagato per l’assassinio dell’anziano confratello era lì in quella stanza. «Erano quasi le otto di mattina, in camera c’era un po’ di luce - rammenta la signora - quando mi sono abbassata su don Rocco a terra, mi sono accorta che le lenzuola erano come ammassate, non riposte come si fa quando ci si alza. E le macchie mi hanno colpito».
L’imputato afferma di aver lasciato per caso quei segni sulle lenzuola durante la benedizione sul cadavere, avvenuta poco dopo la constatazione del decesso. Avrebbe macchiato il letto appoggiandosi, nell’atto di inginocchiarsi, perché soffriva di una malattia cutanea al braccio che gli causava escoriazioni e perdite ematiche. Così, almeno, si è giustificato Piccoli. Lo dice anche in svariate intercettazioni telefoniche: «Mi colava sangue - spiegava il sacerdote in un dialogo intercettato dagli investigatori - può darsi che facendomi leva (sul letto, ndr) essendomi io inginocchiato presso il morto e rialzato, può essere rimasto quello...».
Pasquariello lo ha smentito in aula: «Gli accertamenti clinici e le testimonianze hanno dato esito negativo».Dibitonto, che oltre ad aver soccorso il novantaduenne era presente anche alla cerimonia in stanza, è certa che il prete non si è mai avvicinato al letto del cadavere nel corso della benedizione. E che il braccio era coperto dalla manica della veste fino al polso. «Sì, era vestito - sottolinea la perpetua - e non ha fatto alcun passo in avanti. Parole che trovano conferma da altri testimoni che hanno preso parte alla benedizione: «Aveva la stola fino al polso», afferma uno dei presenti, che chiede l’anonimato.
Quelle tracce ematiche allora da cosa possono essere state provocate? C’è stata una colluttazione tra la vittima e il presunto assassino? L’anziano sacerdote, magari cercando di difendersi, ha colpito l’aggressore? Forse al naso, facendo gocciolare del sangue sulle lenzuola? Ipotesi. «Qualcosa deve essere accaduto - evidenzia ancora Dibitonto - perché don Pino è stato rinvenuto con degli ematomi e solchi al collo, chissà...probabilmente hanno tentato di strappargli la catenina (quella risultata scomparsa dal cadavere, ndr). Credo sia stato sorpreso alle spalle».
La perpetua si sofferma anche sulla telefonata minacciosa ricevuta il giorno in cui era stato sospeso il funerale di don Rocco, quando cioè il medico legale aveva ipotizzato l’omicidio: «La telefonata non è nei tabulati, ma c’è stata. Era di pomeriggio, ero a casa. «Putt...di mer...anche tu devi morire, questo mi sono sentita dire».
A Dibitonto viene contestata una presunta lettera anonima e dai toni minatori ricevuta da don Piccoli in cui si intima al sacerdote di svuotare il sacco e dire la verità. Secondo i legali dell’imputato, che hanno sottoposto lo scritto a una perizia grafologica, quelle parole sono state stese da Dibitonto «Io non ho scritto nulla - ribatte lei - anche se sì, mi sono sempre chiesta perché, se è un prete, non confessa».
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