LA PARTITA NUCLEARE
La questione del nucleare iraniano potrebbe diventare presto un casus belli destinato a incendiare il Medioriente e non solo. Dopo le dichiarazioni del ministro degli Esteri francese Kouchner, arrivano ora le parole di Bush, per il quale l'Iran detentore dell'atomica potrebbe scatenare la terza guerra mondiale. Affermazione che sembra preparare l'opinione pubblica all'idea di un attacco preventivo destinato a evitare una simile prospettiva. Del resto la «finestra di opportunità» per l'amministrazione Bush si sta chiudendo. A febbraio, quando la campagna elettorale americana entrerà nel vivo, l'operazione Iran diventerebbe troppo difficile.
L'eredità irachena è già abbastanza gravosa perché parlamentari e candidati repubblicani alla Casa Bianca si accollino anche le pesanti conseguenze di un eventuale attacco a Teheran. Così la pianificazione strategica dell'attacco fa rapidi passi avanti. E prevede non solo la distruzione dei siti nucleari ma anche l'annientamento delle strutture belliche della Repubblica Islamica, in particolare quelle dei Pasdaran . Il modello è quello dei ripetuti bombardamenti contro la Serbia anziché quello del rapido blitz israeliano del 1981 contro il reattore iracheno di Saddam Hussein. Insomma, più che un raid stile Osirak, una replica di Belgrado. Un dato che, politicamente, non cambia molto per Teheran.
Qualsiasi tipo di attacco sarebbe ritenuto un'esplicita dichiarazione di guerra. Una guerra che sarebbe combattuta ovunque e con ogni mezzo: anche secondo logiche asimmetriche. Attentati terroristici, compiuti da apparati clandestini legati all'intelligence dei Pasdaran, potrebbero così colpire direttamente gli Stati Uniti e i Paesi europei che appoggeranno Washington. Anche se il fronte principale resterebbe ovviamente il Medioriente. Non solo l'Iran, ma anche Hezbollah in Libano e Hamas a Gaza, attaccherebbero Israele.
Già dilaniato dalle tensioni etnoreligiose il Libano fibrillerebbe sotto la duplice pressione del ”Partito di Dio” di Nasrallah e della Siria, legata all'Iran da un patto di assistenza militare. Difficilmente Damasco potrebbe restare fuori dal conflitto: Israele si troverebbe così rispondere a più attacchi concentrici. Sicuramente non resterebbe indenne il teatro iracheno: le forze filorianiane sciite creerebbero grosse difficoltà alle truppe americane. A quel punto l'Iraq si disintegrerebbe. Gli iraniani colpirebbero anche le monarchie del Golfo, a partire da quella saudita, fomentando anche le minoranze sciite nei paesi rivieraschi. Con lo stretto di Hormuz in fiamme e serrato da blocchi navali , gli approvvigionamenti di petrolio e gas diventerebbero problematici e gli effetti sull' insieme dell'economia mondiale si farebbero sentire. Attraverso gli alleati sciiti hazara Teheran agirebbe anche in Afghanistan.
Dunque, l'Isaf ai piedi dell'Hindu Kush sia l'Unifil in Libano sarebbero coinvolti. In questa situazione si troverebbero sovraesposte anche le forze armate italiane impegnate in quei contingenti. Quanto al terrorismo jihadista sunnita, pur rivale degli ”eretici sciiti” a potere a Teheran, avrebbe buon gioco nell'indicare, al mondo della Mezzaluna, l'Occidente come ”nemico dell'Islam”. Certo, non è detto che, in caso di guerra, questi scenari si aprano tutti e contemporaneamente ; ma il loro esplosivo innesco è più che una possibilità. Metterli in conto è doveroso. Sappiamo che nel caso iracheno non è avvenuto. Con tutte le conseguenze del caso. Naturalmente la questione del nucleare iraniano esiste; ma se il fine della comunità internazionale è ridurre il rischio legato alla futuribile bomba degli ayatollah, e non il cambio di regime, occorrerebbe maggiore duttilità.
Magari a partire dal riesame del ”no” al nucleare civile di Teheran, sin qui imposto da Stati Uniti e quello che fu il gruppo Ue-3. Una scelta rischiosa , certo; che presuppone la messa fuori gioco dei gruppi radicali che sostengono Ahmadinejad e quelli più oltranzisti legati alla guida Khamenei a favore del rinato asse tra i pragmatici di Rafsanjani e dei riformisti centristi legati all'ex-presidente Khatami. Quest'ultimi gruppi potrebbero essere disponibili ad andare allo scontro con le altre fazioni ma in cambio devono ottenere qualcosa: magari il riconoscimento, da parte della comunità internazionale, del ruolo dell'Iran come potenza regionale.
Altrimenti non potrebbero esporsi: il monopolio della violenza è in altre mani. Scambio politico che, naturalmente, può avvenire a condizione che tali gruppi offrano garanzie non solo sull'uso civile del nucleare ma anche sulla fine dell'atteggiamento ostile verso Israele. Ma l'amministrazione Bush non sembra perseguire questo obiettivo, quanto piuttosto quello della caduta del regime iraniano. Anche perchè la garanzia di un accordo sul nucleare di Theran non potrebbe che venire da Mosca. E, come dimostrano le dichiarazioni di Putin sul riarmo atomico, il Cremlino è impegnato a contenere il potere mondiale degli Stati Uniti e ricostruire quello russo.
Progetto strategico ovviamente sgradito a Washington. La partita che si preannuncia sul nucleare iraniano è dunque assai difficile e potrebbe far impallidire le conseguenze del conflitto iracheno; che l'opinione pubblica mondiale conosca l'entità della posta in gioco è fondamentale: per fare pesare sui governi il proprio orientamento. Ciascuno paese potrà poi fare le sue scelte e assumersi le responsabilità che ne derivano.
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