La pagnotta slovena mette in crisi i fornai triestini
Venduta in città a meno di un euro al chilo. La ”Romano” costretta a chiudere un anno fa
I loro camioncini, imbottiti di panini, rosette e sfilatini ancora caldi, si mettono in marcia ogni santa mattina quando il sole se ne sta ancora sotto l’orizzonte. Un pugno di minuti e sono a Trieste. Senza traffico, a quell’ora, con l’autostrada come un biliardo. E senza sbarre o dazi ai confini, perché in fondo, oggi, l’Europa politica ed economica è una sola. La ”calata” dei panificatori sloveni, con il loro prodotto low cost destinato ai punti vendita italiani che lo richiedono, è ormai una realtà consolidata. E non solo nella nostra provincia, ma anche nell’Isontino e persino in Friuli. Il pane diventa così un altro emblema della concorrenza d’oltreconfine per una determinata categoria: dopo il carburante per i benzinai e le sigarette per i tabaccai, ecco il pane per i panificatori. Con una differenza tutt’altro che trascurabile. Qui non siamo noi a ”espatriare” per risparmiare. Perché sono proprio i nostri vicini, in molti casi, a portare la merce a destinazione.
LE FORNITURE
Aziende fornaie di Nova Gorica, Sesana e Capodistria - riferiscono alcuni operatori locali del settore - si accordano infatti singolarmente con supermercati, discount, mense aziendali, ristoranti e alimentari, financo alcune panetterie del centro. Non sono in ballo per il momento - come assicurano fonti interne alle Camere di Commercio d’oltreconfine - contratti di settore ”strutturati”. È la piccola impresa slovena che crede nel business transfrontaliero, in altre parole, ad andare a caccia di clienti triestini. Ai quali vengono dunque garantite forniture ”all’ingrosso” più vantaggiose di quelle applicate dai ”colleghi” artigiani triestini. Si parla di un euro al chilo, anche qualcosa meno, per il tipo di pane più economico allo strutto. Le rivendite cittadine, di conseguenza, possono esporre sugli scaffali prezzi al dettaglio più bassi. E sperare, in tempi di cinghie tirate come questi, d’ingrossare le file dei compratori finali sotto casa, come sta effettivamente avvenendo in alcuni negozi del centro, tra cui uno in zona San Giacomo.
EFFETTO DUMPING
«Noi se vendessimo a un euro al chilo non copriremmo nemmeno le spese di produzione, siamo notevolmente sotto», taglia corto Edvino Jerian, titolare dell’omonimo marchio nostrano e presidente non solo triestino ma nazionale della Federazione panificatori, la Fippa. «Il problema - conferma Jerian - è che fra i due versanti del confine la tassazione, la manodopera e la materia prima, il grano, incidono in misura estremamente diversa. Noi in tasse e tributi locali versiamo all’incirca il 60% del fatturato, mentre in Slovenia sappiamo come ci siano agevolazioni fiscali straordinarie soprattutto per le nuove imprese. Lo stesso costo della distribuzione in carico ai nostri competitori, dal camion al suo autista, sarà evidentemente più basso. Non esiste, a conti fatti, una concorrenza ad armi pari. Questa è e sarà l’Europa, finché non subentrerà un adeguamento normativo».
LE CONSEGUENZE
Ogni carico di pane, in effetti, può circolare in quello che è un mercato unico. Per farlo gli è sufficiente, quella ovviamente sì, la conformità alle norme sanitarie. La libera circolazione delle merci lungo il confine orientale vale d’altronde non dalla ben più famosa caduta delle frontiere, corrispondente all’allargamento dell’area Schengen di fine 2007, bensì da molto prima, ovvero dall’ingresso della Slovenia nell’Unione europea, datata primo maggio 2004. Questo spiega perché lo stesso Jerian insista, come già fatto alcuni mesi fa, nel sottolineare il declino del comparto triestino dei panificatori dal 2003 al 2009: «La presenza delle aziende del settore sul nostro territorio - ricorda il presidente della Fippa - è calata in questo lasso temporale del 40%, mentre il numero degli addetti è sceso da 550 a 400 circa». Un robusto scossone ai numeri l’ha dato ad esempio lo scorso anno la chiusura dell’unico vero panificio industriale di Trieste, la ”Romano”, cosa che ha tolto in una botta sola dal comparto 27 posti di lavoro. Il colpo di grazia è venuto proprio dalla concorrenza slovena, che ha levato progressivamente allo stabilimento di via Carletti quello che era il suo core-business, le mense.
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