La morte impunita di Aleks in un campeggio in Istria: indagini ferme al palo
TRIESTE Silenzio assoluto e muro di gomma. Dopo un anno, tutto è come se nulla fosse accaduto. Non una perizia, non un accertamento e nemmeno un indagato. Si perde insomma nel buio - inspiegabile - la vicenda relativa alle cause della tragica morte di Aleks Unussich, il triestino di 44 anni ucciso il 17 agosto del 2016 in quella che non si può che definire l’incredibile esplosione della porta a vetri del padiglione delle docce del campeggio Mon Perin di Valle d’Istria. Tanto incredibile che, a un anno di distanza, quel che è rimasto di quella porta esplosa e anche delle altre strutture vicine non è nemmeno stato sequestrato né tantomeno sottoposto a perizia. Tutto è rimasto fermo, immobile. Come, appunto, se nulla fosse accaduto.
«Se non ci sarà uno sviluppo, nei prossimi giorni porteremo la vicenda all’attenzione del ministero degli Esteri. Dalla Farnesina dovranno valutare come attivarsi nell’ambito dei rapporti bilaterali con la Croazia. Questo soprattutto per tutelare l’incolumità dei turisti italiani che frequentano quel campeggio», dice, disarmato, l’avvocato Silvano Poli, il legale triestino che dall’agosto dello scorso anno sta tentando di superare quello che può solo essere definito un muro di gomma. Un muro che ha messo in gravi difficoltà economiche la famiglia di Aleks Unussich. Che da allora non ha più reddito. E pensare che non ha avuto concretezza nemmeno la promessa fatta - all’epoca della disgrazia - dai responsabili della struttura ricettiva i quali l’avevano addirittura riportata nero su bianco su Facebook, manifestando la loro partecipazione al dolore dei familiari colpiti dalla disgrazia: avevano assicurato il rimborso delle spese di trasporto dall’Istria a Trieste della salma. E invece nessuno finora ha pagato un centesimo per l’ultimo viaggio. Soltanto promesse. O meglio, solamente indifferenza.
«Dovremo - annuncia Poli - chiedere i soldi non solo al campeggio ma anche al Comune di Valle d’Istria che è proprietario del terreno. È l’unica strada». E pensare che l’avvocato della famiglia, proprio per accelerare le pratiche, fin da subito aveva indicato un proprio consulente tecnico. Si chiama Elio Tessitore, è uno tra i maggiori esperti del settore. Ma Poli non ha potuto far alcunché. Motivo? La procura di Pisino, che dopo qualche mese ha acquisito il fascicolo da quella di Pola, non ha finora disposto alcuna perizia. E se una perizia ci sarà, verrà direttamente “attivata” dal ministero di Zagabria e non certo nella forma giuridica dell’incidente probatorio che in questi casi prevede il coinvolgimento diretto delle parti.
Un muro di gomma, dunque. Basti pensare che nello scorso mese di dicembre il legale croato della famiglia Unussich, Boris Modrusan, aveva contattato il camping, la cui proprietà fa riferimento a Plinio Cuccurin, per ottenere qualche informazione in merito all’assicurazione. Ma non è arrivata alcuna risposta. E poi fino a ieri nessuna comunicazione dalla procura di Pisino. L’unica notizia trapelata dalle maglie del fitto riserbo è che lo scorso 14 aprile il pm aveva convocato l’unico testimone oculare. All’interrogatorio era presente l’interprete. Ma il verbale firmato dal testimone era poi stato redatto solo in lingua croata, risultando di fatto incomprensibile a chi aveva fatto le dichiarazioni. E il paradosso è che lo stesso testimone, dopo l’interrogatorio, era andato - ospite in occasione delle vacanze pasquali - nel campeggio Mon Perin.
Insomma, cessato il clamore, la vicenda della tragica morte di Aleks Unussich è finita praticamente sotto silenzio. Eppure una settimana dopo la disgrazia era stata attivata una sorta di inchiesta parallela da parte dei carabinieri. In pratica agli investigatori croati erano stati affiancati alcuni militari italiani nell’ambito dei rapporti bilaterali tra Italia e Croazia e in particolare con l’Istria dove vive una consistente minoranza. A disporlo era stato all’epoca il questore di Pola. Aveva appunto stabilito che un carabiniere (facente riferimento all’Europol) collaborasse con gli investigatori croati. Un modo questo, era stato spiegato, per rendere assolutamente trasparenti gli accertamenti su un episodio che fin da subito aveva presentato molti lati oscuri. Conclude l’avvocato Poli: «Non vi sono ragioni che spieghino questo ritardo. Coinvolgeremo direttamente - ribadisce - il ministero degli Esteri».
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