La misteriosa danza della grande balena: vita a rischio dei cetacei del Mediterraneo

La balena compie il suo primo, spettacolare salto, all’improvviso. Il dorso lucido sfila veloce sulla superficie del mare, poi una leggera torsione ed ecco il corpo del cetaceo uscire fra la spuma come un missile e ripiombare con un tuffo nell’acqua. Una, due, tre...per cinque volte la balena si esibisce a cinquanta metri della nostra barca in uno show fra i più rari - per questa specie - che si possano vedere in natura. Da bordo del “Pelagos” il motorsailer a due alberi portato con perizia dallo skipper Roberto Raineri, assistiamo con emozione alle evoluzioni della balenottera comune (Balaenoptera physalus), dopo la balenottera azzurra il più grande animale di cui si abbia notizia sul pianeta. Più di ventidue metri di lunghezza, oltre cinquanta tonnellate di peso, la balenottera comune è la più veloce fra i grandi misticeti, può superare i 20 nodi (37 km/h) e percorrere trecento chilometri in un giorno. Non è esattamente un campione di immersione, ma può raggiungere i 355 metri di profondità restando in apnea fino a 26 minuti. Vederla saltare, dicono gli esperti, è un evento molto raro. Assistere a cinque salti consecutivi è uno spettacolo unico, che fra poco festeggeremo a bordo del “Pelagos” stappando due bottiglie di spumante (la sequenza fotografica è di Alessandro Messora).
Ci troviamo nel Santuario dei cetacei, diverse miglia al largo della costa ligure, una zona marina di 87.500 km² che nasce da un accordo tra l’Italia, il Principato di Monaco e la Francia per la protezione dei mammiferi marini che lo frequentano. Qui, grazie a una notevole biodiversità, pascola una massiccia concentrazione di cetacei, con ben dodici specie presenti all’appello, dal capodoglio al delfino comune, dal tursiope alla stenella striata, dal globicefalo allo zifio. Oltre naturalmente alla balenottera comune. Questa larga fetta di Mediterraneo, con le sue batimetrie che superano i duemila metri di profondità, ha le caratteristiche di un piccolo oceano. Qui da trent’anni studia e opera l’Istituto Tethys, organizzazione senza fini di lucro fondata nel 1986 che si dedica alla conservazione dell’ambiente marino attraverso la ricerca scientifica e la divulgazione (www.tethys.org). L’Istituto si autofinanzia organizzando da maggio a settembre crociere settimanali a bordo della barca “Pelagos”, ospitando volontari (può partecipare chiunque) che aiutano lo staff di ricercatori nell’avvistamento e raccolta dati sui mammiferi marini. Dal 1991 ad oggi ai viaggi studio hanno partecipato oltre seimila volontari per un totale di 2734 giorni in mare e 5748 avvistamenti di cetacei. «Eppure sembra che gli italiani stentino a rendersi conto che non occorre andare chissà dove per vedere le balene - dice Sabina Airoldi, direttrice del progetto e coordinatrice scientifica dell’Itstituto Tethys -, per non parlare delle altre specie di mammiferi marini: le abbiamo davanti casa, ed è un patrimonio da salvaguardare».
Nonostante gli studi, le norme e gli sforzi per la tutela, infatti, la salute dei cetacei di questa parte del Mediterraneo è sempre più a rischio. Morte accidentale nelle reti da pesca, degrado ambientale, scarsità di prede a causa della pesca eccessiva, collisioni con le imbarcazioni, inquinamento acustico, sono i maggiori pericoli cui vanno incontro cetacei. Uno studio recente effettuato nel Santuario Pelagos ha dimostrato che i detriti di plastica fluttuanti, e in particolare le microplastiche, si sono ormai diffuse anche nell’area protetta. Il polimero più abbondante è risultato il polietilene, con una concentrazione pari al 76%. E fra le prime vittime delle microplastiche ci sono proprio le balenottere comuni che si nutrono di plancton. «Il Mediterraneo - spiega Sabina Airoldi - è il mare più inquinato al mondo, in percentuale la quantità di microplastiche è identica a quella delle cinque isole di plastica che infestano gli oceani».
Ma non c’è solo l’inquinamento ambientale. Anche l’inquinamento acustico, con novemila imbarcazioni a motore ogni giorno in giro solo nell’area del santuario, provoca disastri, visto che nei cetacei l’udito è senza dubbio il senso più importante. Animali sociali, sia gli odontoceti (cetacei muniti di denti) che i misticeti (muniti di fanoni) si orientano, comunicano e socializzano emettendo suoni complessi e variati, che vanno dagli impulsi a larga banda di frequenza (i “click” dei capodogli) ai fischi continui a modulazione di frequenza, fino a raffiche ad altissimo tasso di ripetizione simili a scricchiolii. Questi fraseggi, che possono essere uditi dagli animali a centinaia di chilometri di distanza, regolano tutte le fasi della vita sociale dei mammiferi marini, dal riposo all’accoppiamento fino all’alimentazione. L’inquinamento acustico non è solo un disturbo ma disorienta e mette a rischio persino la riproduzione: «È come se noi cercassimo di sedurre un partner in una stanza dove tutti gridano e la musica è sparata a palla», spiega Sabina Airoldi.
Dopo i suoi spettacolari tuffi, la balenottera comune si allontana dalla barca e sparisce soffiando all’orizzonte. Poco dopo, navigando verso la costa, incrociamo un branco di tursiopi. Un delfino nuota davanti alla prua seguito da un cucciolo che non molla di un centimetro la madre. Più tardi, durante il briefing serale sempre a bordo del “Pelagos”, analizzando le foto e confrontando i particolari delle pinne e delle code - le “impronte digitali” dei cetacei - scopriamo che si tratta di Cate, esemplare visto l’ultima volta nel 2016 e ora ricomparso con un cucciolo. Così come Ale, altra femmina di tursiope fotografata nel branco, registrata nel 2015 e ora diventata madre. Il data-base dell’Istituto Tethys permette ormai di riconoscere gli esemplari delle varie specie quasi uno per uno. E se è vero che i branchi di grampi non si vedono da qualche anno e i capodogli si fanno aspettare, altre popolazioni sono in aumento, come le stenelle. Segno che le migrazioni nel Mediterraneo non riguardano solo l’uomo, ma che dall’uomo e dai suoi comportamenti dipendono entrambe.—
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