La missione umanitaria in Togo del chirurgo Costantino Davide

«E’ stata un’esperienza che mi ha coinvolto e arricchito profondamente”, queste le prime parole del chirurgo plastico triestino Costantino Davide nel raccontare, al suo rientro in città, dopo i quindici giorni di missione umanitaria nel Togo, lembo di terra – poco più di 56.000 km² di superficie – che confina a ovest con il Ghana e a est con il Benin, e si affaccia sul golfo di Guinea. L’occasione per questa missione gli si è presentata attraverso il chirurgo plastico romano Claudio Bernardi, che di missioni nel Togo ne enumera ben sette, ed è consigliere dell’Onlus “Avita”, la cui finalità è quella di aiutare le popolazioni dell’Africa occidentale presso l’ospedale di Afagnan, villaggio vicino alla capitale Lomé, che, retto dai frati del Fatebenefratelli (ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio), è privo di chirurghi plastici, i quali perciò, di volta in volta si offrono con generosa abnegazione.
Qui, povertà, malattie – la malaria in particolar modo – e sofferenze accompagnano la quotidianità di uomini e donne, e di tanti, tanti bambini con malformazioni congenite, labbra leporine, palati schisi, ustioni, cicatrici. Adulti con fratture esposte, grossi tumori cutanei, esiti deformanti dovuti a infezioni e patologie tipiche dell’Africa.
Spesso poi, anche casi di elefantiasi degli arti inferiori; e ancora, malattie tropicali che vengono trascurate e quindi si cronicizzano. Casi gravi, precisa Davide – ricordiamo che si è specializzato a Padova in chirurgia plastica e si è poi perfezionato alla scuola del celebre Pitanguy, a Rio –, nei quali la chirurgia plastica appunto, è soprattutto ricostruttiva e non più soltanto estetica.
Prima di lasciare il Togo, Davide e Bernardi (con loro c’era anche una specializzanda che lavora in Svizzera), hanno voluto organizzare una festicciola per i bambini di Afagnan, circondandoli di affetto e di quei sorrisi di cui la loro vita è così avara. I tre medici inoltre, hanno donato all’ospedale molti farmaci, vestiario e giocattoli che avevano portato dall’Italia.
Grazia Palmisano
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