La missione dei “dem” Fvg si trasforma in prigionia
TRIESTE. L’onorevole “asserragliata” in ufficio con i suoi assistenti per tutto il giorno, al piano 15 di un Europarlamento semideserto e immobile rispetto al frenetico andirivieni quotidiano. I funzionari della Regione, incolumi sì ma sotto choc alle scrivanie dell’Ufficio di collegamento Ue-Fvg, a non più di qualche centinaio di metri dalla stazione di Maelbeek, teatro del secondo attentato. Un manipolo di professionisti e militanti “dem”, in prevalenza triestini, costretti in albergo, a due passi dalla centralissima Grand Place, e a rinunciare così alla visita programmata al Parlamento europeo. E gli altri della delegazione di militanti del Pd, infine, una quindicina in tutto, che da quelle parti non ci sono nemmeno mai arrivati: il loro aereo, partito al mattino da Treviso destinazione Charleroi, è stato dirottato in tempo reale e poi “parcheggiato” a Liegi.
Ci sono quattro fotogrammi che testimoniano, di fatto, come l’attacco terroristico in Belgio abbia sconvolto la vita di decine di corregionali che ieri - chi per routine e chi di passaggio, chi come burocrate e chi per politica - erano o avrebbero dovuto essere a Bruxelles. La paura e una netta sensazione di impotenza, ad esempio, si sono addensate sopra rue du Commerce, la via in cui “pulsa” l’Ufficio della Regione, dove lavorano normalmente cinque persone, di cui una triestina, non lontano come detto dalla stazione della metropolitana saltata in aria. «Tutto il personale dell’Ufficio di collegamento a Bruxelles non ha subito ripercussioni», si è affrettata a rassicurare all’ora di pranzo la Regione con una nota, in cui si precisava anche che «l’attività dell’ufficio prosegue in forma ridotta sia in considerazione del blocco del trasporto ferroviario, di bus, tram e metropolitana che degli inviti delle autorità belghe, dell'Unità di crisi della Farnesina e della stessa Commissione europea ad evitare qualsiasi tipo di spostamento e a non uscire dalle abitazioni». Stanno tutto bene, insomma. Fisicamente. Psicologicamente assai meno bene: «Non ci eravamo mai trovati in questa situazione, e per la prima volta abbiamo sentito la minaccia terroristica decisamente vicina», ha ammesso al telefono al pomeriggio direttamente da rue du Commerce la coordinatrice dell’Ufficio, Raffaella Viviani.
Più preparata, però fino a un certo punto, si sentiva l’eurodeputata Isabella De Monte, che ieri ha tenuto i contatti col mondo da dentro il suo ufficio al 15.o piano dell’Europarlamento, dove si è trovata costretta a restare chiusa (con tre collaboratori, fra cui il friulano Paolo Fontana) come altri suoi colleghi, su disposizione dei locali organi di sicurezza: «Dal palazzo non si esce e non si entra, e ci hanno anche invitati a rimanere negli uffici», spiegava a metà giornata al telefono prima di diffondere un comunicato di «profondo cordoglio e vicinanza alle famiglie delle vittime, oltre alla condanna più ferma per questo attentato terroristico barbaro e vile, che ancora una volta ha colpito il cuore dell’Europa». «È impressionante - ha aggiunto De Monte al pomeriggio, sempre al telefono - guardare dalla finestra e intravvedere un po’ di sole in una città che solitamente è grigia. Proprio oggi, un segno del destino. Vedo il retro di Place Luxemborg. È spettrale, non c’è nessuno. Questa città la consideravamo ormai un obiettivo, magari possibile eppure al tempo stesso non troppo probabile. La giornata odierna diventa un bivio nella gestione del terrorismo, specie a Bruxelles, dimostra che l’intelligence va rafforzata ancora. È una botta perché ci dice che il terrorismo sta seguendo un crescendo di obiettivi e ora è arrivato alla ferita massima, simbolicamente, per l’Europa. E forse non sarà l’ultima».
De Monte, proprio ieri, avrebbe dovuto ospitare una delegazione di militanti Pd in visita al Parlamento europeo, che come ogni altro meeting ufficiale è stata annullata. I primi cinque delegati - i triestini Salvatore Dore, Marcello Guaiana e Gaia Tamaro, il codroipese Nicolò Berti e il tolmezzino Andrea Vidoni - erano arrivati lunedì sera (la rimanente quindicina era attesa al mattino ed è stata dirottata a Liegi, si legga nel riquadro, ndr). La loro base per la notte - insieme all’assistente di De Monte Andrea Fabbri e alla giornalista Elisa Coloni, dell’Ufficio stampa del Pd - era l’hotel Ibis, in rue du Marché aux herbes, a poco più di un colpo d’occhio da Grand Place. L’albergo, al mattino, è diventato una “prigione”, ci sono dovuti restare. «Lo stato di confusione è tangibile, le linee telefoniche sono intasate, prima sentivamo le sirene in continuazione», la testimonianza del mattino di Coloni, raggiunta telefonicamente al centralino dell’hotel. «Ci sembra - ha aggiunto al pomeriggio Tamaro dopo che la delegazione ha messo il naso fuori - di vivere in una città sotto assedio, in un contesto irreale. Di primo acchito sembra di passeggiare nella normalità, ma se ci fai caso tutti si guardano in giro, credo che mescolati ai cittadini ci siano agenti in borghese, al di là dei militari che si vedono e delle sirene che ogni tanto ancora si sentono. Le persone che vogliono entrare nelle stazioni della metropolitana formano lunghe file, devono prima mostrare i documenti. Stamattina abbiamo saputo dell’accaduto in albergo, dalla tv, intravvedevamo all’esterno una gran confusione, avevamo la sensazione che le forze di sicurezza fossero impreparate. Sì, l’abbiamo vissuta malissimo. Almeno tre ore che non augurerei a nessuno».
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