"La mia vita distrutta da un'operazione alla schiena. Ora voglio giustizia"
La gradese Nicolina Sebastianutto resta invalida per sempre dall'intervento di uno "specialista" che invece era dentista
TRIESTE Ormai cammino come una papera. E non andrà meglio». Nicolina Sebastianutto ha davanti il dossier di un incubo iniziato quattro anni fa e ora diventato quotidiano. Diagnosi, terapie, cartelle cliniche. Adesso anche le carte dell’avvocato. «Neurochirurghi e neurologi hanno certificato la sindrome della cauda equina in postumi di intervento chirurgico – spiega –. Non sento più la gamba destra e ho perso il controllo sfinterico». Un’operazione andata male, un chirurgo che avrebbe dovuto avere una specializzazione e invece ne aveva altre, una richiesta di risarcimento stimato da una perizia medico legale in più di un milione di euro.
Nell’estate 2014 Nicolina, dopo aver lavorato in precedenza da responsabile vendita in mobilifici e come arredatrice, gestiva un bar a Grado, La Petit Cafè a Città Giardino. Sempre in piedi, i dolori alla schiena fanno parte del mestiere. «A un certo punto quei dolori sono diventati insopportabili e ho eseguito una risonanza magnetica prescritta dal Policlinico Città di Udine – racconta la sessantenne gradese –. Riposo, infiltrazioni, antinfiammatori e terapia antalgica non hanno migliorato la situazione e all’Ortopedia di Gorizia mi hanno infine suggerito una visita a Mestre da un dottore noto per avere curato vari pazienti con dolore alla schiena».
Un dottore che, anziché in Neurochirurgia, è però specializzato in Anestesia e rianimazione e in Odontoiatria. «Non potevo immaginarlo. In ambulatorio non c’erano nemmeno computer, ricettario, Pos. Ho pagato in contanti senza ottenere la ricevuta. Mi sono fidata, sbagliando. Ma stavo così male che ho preferito la strada del privato».
La diagnosi è di una grave degenerazione discale e il consiglio è l’artrodesi, la soluzione estrema quando falliscono fisioterapia, infiltrazioni, radiofrequenza, ozonoterapia e procedure mini-invasive. Si tratta di bloccare con viti e placche le ossa del tratto lombare. Ne hanno parlato nel febbraio scorso Milena Gabanelli e Simona Ravizza sul Corriere della sera in un articolo intitolato “Il business del mal di schiena”.
Negli ultimi otto anni, scrivono, «sembra che l’Italia sia travolta da un incurabile mal di schiena ed è così scoppiato il boom dell’artrodesi, intervento rimborsato dal Ssn fino a 19mila euro e che quindi piace particolarmente agli ospedali privati convenzionati». Al termine della visita, prosegue la signora, «quel medico, consulente in diverse strutture, si rende disponibile a operarmi, assicurandomi che sarei rientrata a casa dopo tre giorni». E invece un mese dopo, in una clinica bolognese, le cose non vanno come promesso da una parte e sperato dall’altra.
«Appena mi risveglio non sento più le gambe, sono gonfia, ho conati di vomito, mi ritrovo con il catetere e disturbi sfinterici. Passano due giorni e, dopo ripetute richieste al personale, il chirurgo mi informa che deve rioperarmi perché ci sono stati problemi. Di nuovo sotto i ferri, ma nulla cambia: rimango insensibile nelle stesse parti del corpo».
La nuova spiegazione? «Gli ho chiesto quando mai avrei potuto scendere dal letto con le mie gambe. La risposta è stata che sarebbero bastati un paio di mesi di riabilitazione in una struttura privata di Bologna, da 700 euro al giorno, dove lui collaborava. Stavolta non ci sono stata. Ho chiamato l’ambulanza e mi sono fatta portare al Gervasutta di Udine».
Dopo quattro mesi di ricovero, l’istituto friulano dimette la paziente con una corposa relazione e diagnosi di sindrome della cauda post intervento, poi ribadita da altri professionisti di Udine, Martellago, Rozzano. Tutti d’accordo nell’escludere indicazioni chirurgiche che possano migliorare la prognosi. La vita che cambia in un attimo. Da lavorare con il dolore a non poter più quasi camminare.
«Ho chiuso il bar, ho venduto gioielli e svenduto un appartamento. Mi è stata riconosciuta un’invalidità dell’80%. Vivo con un assegno concesso provvisoriamente dalla commissione medico-legale dell’azienda Isontina - Bassa friulana. Non posso permettermi più di dieci sedute all’anno convenzionate di fisioterapia». La battaglia, oltre che per cercare di stare appena meglio, è anche legale. «Con un primo avvocato non ci sono stati risultati. Con un secondo si è svolta una prima mediazione assistita a Bologna, fallita perché la clinica e il chirurgo hanno dichiarato di non avere responsabilità. Ma il mio legale sostiene al contrario che dovrei ottenere un risarcimento da entrambe le parti». Nel frattempo è pure emerso che Sebastianutto non è sola: «Ci sono altri sei casi di cittadini della regione che hanno subito danni, pur se inferiori ai miei, dopo artrodesi effettuate da quello stesso dottore che, secondo alcuni voci, pare ora operare in Slovenia. A luglio ci siamo incontrati tra pazienti e stiamo cercando altri sfortunati come noi per formare un comitato con la partecipazione anche dei diversi legali». —
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