La madre di Console: perdono per il dolore

Lacrime in solitudine: «Non so darmi pace, mi aiuta un prete». La donna all’udienza in cui i legali hanno ottenuto il rito abbreviato

C’è un’altra vittima nel delitto di Gretta, commesso nell’agosto scorso da “Tex” Alessandro Cavalli e Giuseppe Console. Lo si è capito ieri, prima e durante l’udienza preliminare in cui gli avvocati dei due giovani imputati hanno chiesto che il processo per l’omicidio di Giovanni Novacco sia celebrato con rito abbreviato. Hanno scelto questa strada per tentare di evitare ai loro assistiti la condanna all’ergastolo.

L’altra vittima di questa tragedia è entrata sommessamente in scena: si è seduta su uno degli scranni allineati lungo le pareti del corridoio antistante l’aula e ha atteso l’avvio dell’udienza. Nessuno ha degnato di uno sguardo quella donna sola che tentava di trattenere le lacrime, proteggendo il suo volto con una grande borsa. Gli zoom delle telecamere, gli obiettivi delle macchine fotografiche e gli occhi dei cronisti, attendevano solo i due ammanettati.

La donna che ha avuto la forza di presenziare all’udienza, senza che nessuno le stesse accanto per sostenerla, si chiama Grazia ed è la mamma di Giuseppe Console. L’inchiesta del pm Massimo De Bortoli ha portato in superficie le violenze e le vessazioni a cui quel suo figlio l’ha sottoposta per anni, facendola finire anche all’ospedale. Lei è stata zitta, ha sofferto in silenzio per amore del figlio e per non fare disintegrare la propria famiglia. Ma l’omicidio di Giovanni Novacco ha portato in superficie i segni dei pugni e degli gli schiaffi che le venivano inflitti. Uno schermo infranto.

Poco prima delle 10 suo figlio è stato portato in aula: una felpa gialla, il volto di cera pesantemente segnato da due settimane di isolamento in cella di punizione. Attorno a lui tre agenti, due dei quali lo trattenevano sotto le braccia. Un attimo e l’imputato è stato inghiottito dall’aula. Dall’altra estremità del lungo corridoio un paio di minuti più tardi è arrivato Alessandro Cavalli: ha sfiorato la mamma del suo ex amico, raggomitolata sulla panca ed è stato inghiottito anche lui dall’aula. Anche in questa occasione gli obiettivi e gli occhi dei cronisti hanno seguito i percorsi usuali, cercando il già visto e non l’ignoto.

«Io prego per mio figlio. Prego sempre, più volte al giorno e non riesco a darmi pace per quanto è accaduto e per quanto ancora potrebbe accadere».

Piange la signora Grazia, stringe il manico della borsa, si alza dalla panca, chiede di non essere fotografata. Non vuole essere riconosciuta per strada dai tanti pronti a giudicarla. Lascia il manico della borsa, stringe le mani a chi le sta di fronte e con gli occhi chiede aiuto, rispetto e forse un po’ tenerezza e solidarietà. Non parla nè di destino cattivo, nè del figlio che ha sbagliato. Chiede perdono per quanto dolore ha sparso a piene mani quel suo ragazzo diventato assassino. «Vedo spesso un sacerdote, lui mi aiuta».

Un carabiniere fa entrare la mamma nell’aula dove l’udienza si è già avviata. Grazia Console si siede sul fondo, lontano dal figlio chiuso nello spazio riservato agli imputati. Per due ore la donna ascolta gli avvocati e il pm discutere, parlare, contrapporre tesi a tesi. Poi in una breve pausa, quando quasi tutti sono usciti nel corridoio, si avvicina al figlio e gli stringe le mani tra le sue. Non dice nulla, i loro occhi si riflettono. Mamma e figlio, come accade da sempre. Ma questa volta tutto avviene in un’aula dove è iniziato il processo per la morte di un altro ragazzo a cui i genitori non potranno più stringere le mani e che non potranno guardare negli occhi.

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