«La lotta per i diritti civili non è finita: Zagabria ha dimenticato le promesse»
ZAGABRIA Zvonimir Dobrović è particolarmente contento. Le prime settimane di giugno hanno marcato due eventi importanti per la comunità Lgbtq croata e per un attivista di lunga data come lui. C’è stato il ventesimo Queer Zagreb, il festival fondato nel 2002 proprio da Dobrović, che ne è ancora oggi direttore artistico. Qualche giorno dopo, il 21.o gay pride di Zagabria, al quale ha partecipato anche il sindaco Tomislav Tomašević. Anniversari significativi, che ricordano il lungo cammino percorso. «La Croazia ha fatto in vent’anni quello che altri Paesi occidentali hanno realizzato in un lustro», commenta Zvonimir Dobrović, seduto in un bar della capitale croata.
Nato nel 1978 a Zagabria, dove ha studiato giornalismo, Dobrović si è interessato fin da subito al teatro, unendo a questa passione la sua militanza per i diritti Lgbtq. Nei primi anni Duemila, quando la Croazia “scopriva” di avere una comunità omosessuale, Dobrović aveva poco più di vent’anni e tanta voglia di cambiare le cose. All’epoca «erano pochi i militanti che avevano il coraggio di parlare davanti alle telecamere» e «le televisioni preferivano camuffare il viso e la voce degli intervistati».
I primi gay pride erano spesso oggetto di attacchi; e avviare un festival dal nome “Queer Zagreb” suonava per tanti come una provocazione. «È come se io avessi fatto coming out non solo davanti ai miei genitori, ma davanti a tutti», ricorda oggi Dobrović. Non solo ha deciso di confidare alla famiglia la propria omosessualità, ma l’ha resa anche partecipe della sua idea di avviare Queer Zagreb. E fin da subito, la famiglia lo ha sostenuto. «I miei temevano per la mia sicurezza ma mi aiutavano con il festival, ad esempio andando a prendere gli ospiti all’aeroporto», prosegue il direttore artistico.
Oggi, vent’anni più tardi, il festival è un evento sicuro e rodato, ma «la lotta per i diritti civili non è mai finita», avverte Dobrović. In Croazia il contesto sociale rimane quello di «un’omofobia di Stato», insiste il direttore artistico del Queer Zagreb, additando a dimostrazione il fatto che il governo ha fatto ricorso per due volte contro una coppia omosessuale che desiderava adottare un bambino: una battaglia però perduta, a fine maggio, anche davanti alla Corte costituzionale. «Queer è chi è marginalizzato, a seconda della geografia o del contesto sociale», estende il ragionamento Dobrović, «e in questo Paese non devi per forza essere gay o lesbica per essere queer: è sufficiente essere una ragazza madre o un genitore single».
Paradossalmente, l’ingresso della Croazia nell’Unione europea nel 2013 - dice Dobrović - non ha migliorato le cose. «Prima dell’adesione all’Ue il governo si mostrava più tollerante di quanto fosse in realtà», dice Dobrović: «Mentiva per piacere a Bruxelles». Superato il test europeo, le leggi certo non sono diventate più restrittive, ma «le promesse non realizzate sono state dimenticate». E non è tutto. «Le nostre associazioni vivono dei finanziamenti di fondazioni e istituzioni. Una volta entrati nell’Unione, quei finanziatori spariscono, convinti che ormai non ci siano più problemi nel Paese», avverte il militante Lgbtq ricordando che «gli sloveni ci avevano avvertito». Così oggi, oltre a continuare la propria battaglia in Croazia per evitare che il Paese scivoli indietro come Polonia o Ungheria, Zvonimir Dobrović sprona i militanti attivi in altri Stati balcanici oggi candidati all’adesione all’Ue: «L’Unione europea è uno dei migliori posti in cui vivere, ma il momento per ottenere grandi risultati in materia di diritti umani è subito prima di aderirvi», conclude Dobrović.
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