«La laurea a Levi Montalcini, Papa Wojtyla e il 1968: così all’Università di Trieste si fece la storia»

«Giovanni Paolo II venne qui durante la guerra di Jugoslavia: lanciò un messaggio importante nella città che guarda a Est»

El. Col.
Rita Levi Montalcini
Rita Levi Montalcini

TRIETE C’è la visita di Papa Wojtyla nel 1992, la laurea honoris causa a Rita Levi Montalcini nel 1991, ma ci sono anche le prime occupazioni del ’68. Quando pensa ai cent’anni dell’Università di Trieste, sono questi alcuni dei momenti impressi in modo indelebile nella memoria, per Sergio Paoletti, professore emerito di Biochimica, già prorettore e, per un breve periodo nel 2013, rettore facente funzioni, in seguito anche presidente di Area Science Park.

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«Parliamo di un’università che ha saputo crescere e costruire, soprattutto dal secondo dopoguerra, una solida e forte identità, in una città peculiare, per storia e posizione geografica. Lo ha fatto da quegli anni poi, con una rilevante parentesi, negli anni del Territorio libero, quando quello dell’ateneo era l’unico Tricolore a sventolare in città e non fu mai fatto rimuovere». Per Paoletti quello dell’università è sempre stato «un ruolo da protagonista: è stata l’alma mater di quel sistema di relazioni e strutture scientifiche nazionali e internazionali che oggi fanno l’orgoglio di questa città, perché non esiste istituzione scientifica a Trieste che non abbia avuto origine per opera di docenti dell’università».

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Passando in rassegna alcuni dei ricordi personali, che poi raccontano un pezzo di storia importante dell’ateneo, il professore va indietro al 17 maggio del 1991, giorno della laurea honoris causa al Premio Nobel Rita Levi Montalcini. «L’occasione fu la celebrazione dei primi 25 anni della facoltà di Medicina, che tra i fondatori ebbe il professor Benedetto de Bernard. Ricordo ancora il discorso sui diritti e doveri dell’uomo alle soglie del terzo millennio di Rita Levi Montalcini: un momento straordinario, dal quale poi partì, grazie anche al lavoro dell’allora rettore Giacomo Borruso, l’esperienza dell’International Council of human duties (presieduto da Paoletti, ndr.)».

Altro momento indelebile, la visita di Papa Giovanni Paolo II nel ’92: «Un caso quasi unico, straordinario - commenta Paoletti -. Il pontefice venne a Trieste non in un periodo casuale, bensì durante la guerra in Jugoslavia. Ricordo la valenza e la potenza del messaggio che volle inviare da una città con lo sguardo rivolto a Est. È questo sguardo verso il Centro Europa, verso l’Est, che hanno concesso alla nostra Università di aprire strade e percorsi cruciali, che hanno cesellato l’identità stessa dell’ateneo e che in quella direzione deve continuare a guardare».

Ma per il professor Paoletti, prima della vita da docente (percorso portato avanti anche all’estero, in Europa e negli Stati Uniti) c’è quella da studente, con i suoi ricordi. «Mi iscrissi alla facoltà di Chimica nel 1967 - racconta -. Ricordo, tra il ’68 e il ’70, che l’università era pervasa da un clima di gioia collettiva, di grande partecipazione, che nulla aveva a che fare con ciò che successe dopo, quando il terrorismo fece piombare l’Italia in anni bui. Erano i tempi delle assemblee affollate in Aula magna, delle prime occupazioni, di quel primo maggio del ’68 in cui entrai nell’aula A con una scala da via Fabio Severo...».El. Col.

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