La guerra dei supermercati ai buoni pasto: stop e restrizioni al via nei punti vendita
TRIESTE Despar dà un taglio ai buoni pasto. Dal 1° febbraio Aspiag Service, concessionaria del marchio nel Nord Est, ha deciso di non accettarli più in 16 dei suoi 23 punti vendita nella provincia di Trieste. Sono ancora “ammessi” infatti solo nel supermercato di via Rossini, nel market appena inaugurato di piazza Unità, all’interno della Stazione ferroviaria, in via Combi, accanto al Teatro Romano, in via dei Leo e in largo Barriera. Non solo: verranno accettate transazioni fino a un massimo di 8 buoni e non verrà consentito l’acquisto con questo sistema di vino, liquori, fiori e piante.
I buoni pasto sono utilizzati giornalmente da migliaia di triestini ai quali vengono consegnati a fine mese a compensazione dello stipendio nel 68% dei casi in forma cartacea, e solo per il 32% in forma elettronica, che consente di monitorare i prodotti acquistati. Quello che si chiama “buono pasto”, da un’indagine nazionale, risulta venir usato nell’80% dei casi per fare la spesa, e non per un pasto in un ristorante, talvolta infilando nel carrello anche ammorbidenti, carta igienica e cibo per gatti. E ci sono pure esercenti che li accettano e poi li girano ai dipendenti per pagare in nero gli straordinari. Insomma, una giungla.
A livello nazionale, dei 237 supermercati gestiti da Aspiag Service, i buoni saranno ritirati solo in 118. Una decisione che farà da apripista: il malumore tra i colossi della grande distribuzione è tale che si prevede presto un’inversione di tendenza anche di altre importanti catene. Per le aziende e gli enti pubblici che invece li consegnano ai loro dipendenti per arrotondare lo stipendio, sono un affare. Perché acquistano dalle società emettitrici quei buoni pagandoli anche il 10-15 % in meno rispetto al valore riportato sul buono. «Alla base della decisione di razionalizzare il numero dei nostri punti vendita che li accettano – spiega Arcangelo Francesco Montalvo, amministratore delegato di Aspiag Service – c’è l’aumento dei costi sostenuti dalle aziende nonché un generalizzato uso improprio di questi buoni, che ha visto crescere l’onere a carico dell’anello intermedio del sistema. Abbiamo così deciso di regolamentare il fenomeno, restringendone il perimetro di utilizzo».
Per capire il peso del sistema, basti pensare che le spese di commissione che le aziende che li ritirano sono obbligate a sostenere incidono tra il 10 e il 12 per cento. In pratica, su un buono da 10 euro, i ristoranti, i supermercati e i commercianti che li ritirano lasciano almeno 1 euro all’azienda che emette quel buono. A Trieste il maggior numero di buoni in circolazione arriva dai dipendenti del Comune, della Regione e poi di piccole e grandi aziende. Alla fine Aspiag Service-Despar, nei supermercati dove ancora accetta i buoni, introducendo determinate restrizioni, non fa altro che applicare alla lettera la normativa. Cosa che in pochi osservano, consentendo, anche a Trieste, di acquistare con i buoni pure generi che nulla hanno a che vedere con i prodotti alimentari. «Serve maggior chiarezza sull’utilizzo dei buoni – sottolinea Montalvo –, questo mercato va ristrutturato».
«Per noi è un salasso – ammette anche Fabio Bosco, titolare del gruppo Bosco – ma li accettiamo per fare fatturato. A fine anno c’è un mancato guadagno di quasi 100 mila euro e dunque capisco e condivido la decisione di Aspiag Service». «Non li abbiamo mai accettati – testimonia invece Maurizio Zazzeron –, le aziende emettitrici poi pagano quando vogliono e non è possibile rinunciare al 10% del fatturato quando si cerca già di tenere i prezzi al minimo». —
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