La guerra dei cioccolatini fra Zagabria e Belgrado
ZAGABRIA. Dopo aver suscitato l'incredulità della stampa croata e l'ilarità dei social network, il caso "Cokolinda" (come è stato battezzato su internet) ha finito per provocare anche la reazione di Belgrado. Negli ultimi due giorni, le autorità serbe sono infatti intervenute su quanto avvenuto martedì a Dubrovnik, dove la presidente croata Kolinda Grabar Kitarovic, in visita per il 25mo anniversario del bombardamento della città, ha distribuito "per errore" a dei bambini della cioccolata "Made in Serbia", provocando la reazione stizzita di alcuni genitori e finendo per chiedere ufficialmente "scusa".
Per il presidente serbo Tomislav Nikolic, il fatto che la capo di Stato croata si sia scusata promettendo sia la sostituzione dei dolci con prodotti croati sia che un fatto del genere «non succederà più», dimostra come Zagabria non voglia delle buone relazioni con Belgrado. «Se la nostra cioccolata rappresenta un problema, allora tutte quelle storie sull'amicizia si sgretolano», ha dichiarato il capo di stato al tabloid serbo Kurir, aggiungendo che «possiamo ancora aspettarci dei gesti spiacevoli da parte croata».
Nikolic, uno degli ufficiali serbi più attivi nel costante ping-pong di strali bilaterali, ha anche provveduto ad alzare il tono dello scontro, affermando che «sono i Paesi in guerra che non comprano i prodotti fabbricati dalla controparte, ma io non sapevo che la Croazia ci avesse dichiarato guerra». «Kolinda deve ancora crescere», ha concluso il presidente, assicurando che lui non avrebbe difficoltà a comprare cioccolata croata.
Meno bellicoso, ma altrettanto fermo, è stato il commento del ministro del Commercio di Belgrado, Rasim Ljajic, secondo cui le frasi di Grabar Kitarovic dimostrano come «i prodotti serbi non siano i benvenuti in Croazia», persino quelli - come la cioccolata in questione prodotta dalla "Pioni" - che sono «fabbricati a Subotica, una città dove vive una forte minoranza croata». «La dichiarazione della presidente croata è antidemocratica, antieuropea e antieconomica», ha proseguito Ljajic, avvertendo che «se tutti i capi di Stato seguissero la logica di Grabar Kitarovi„, i principi di base dell'economia di mercato sarebbero minati e il mondo ritornerebbe a un'era di puro protezionismo».
Ma la Serbia, ha promesso Ljajic, continuerà a trattare allo stesso modo le imprese croate e quelle serbe che lavorano sul territorio nazionale. E ieri, infine è intervenuto anche il primo ministro serbo Aleksandar Vucic„ assicurando che «da noi, i prodotti croati si vendono senza problemi».
Se online il caso "‹okolinda" continua a far sorridere con un continuo fiorire di iniziative satiriche, nella realtà viene confermato ancora una volta quanto le relazioni serbo-croate siano tuttora tese (non tanto tra i popoli, ma tra le rispettive autorità) e quanto poco basti a farle deteriorare. Appena sei mesi fa, Kolinda Grabar Kitarovic incontrava a Vukovar il premier Vucic in un giorno "storico" che voleva essere l'inizio di una nuova fase di distensione nei rapporti bilaterali.
I due rappresentanti firmavano una dichiarazione congiunta, auspicando la risoluzione delle varie controversie aperte a livello bilaterale (dalla frontiera sul Danubio, alle persone scomparse durante l'ultimo conflitto). Inutile dire che a distanza di pochi mesi e dopo diversi incidenti diplomatici (si pensi alla recente foto di Grabar Kitarovi„, immortalata vicino ad una bandiera dello stato nazista croato), quella fase deve ancora iniziare. E se la presidente croata si sente oggi tenuta a scusarsi per aver distribuito della cioccolata serba, è legittimo dubitare anche della sua volontà di una tale distensione.
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