La grande vittoria degli ambientalisti: la Serbia ferma le miniere di litio

Annuncio ufficiale della premier Brnabic: «Tutte le decisioni legate al progetto e le licenze sono state annullate»

Stefano Giantin
Una delle proteste e, a destra, la premer serba Ana Brnabić che ha confermato lo stop al progetto
Una delle proteste e, a destra, la premer serba Ana Brnabić che ha confermato lo stop al progetto

TRIESTE Non una vittoria, per attivisti, ecologisti, oppositori del governo, i piccoli Davide della Serbia. In realtà, un trionfo, contro un Golia bifronte, le autorità al potere e il colosso minerario anglo-australiano Rio Tinto. Non si può descrivere altrimenti lo scenario che si è concretizzato a sorpresa nel Paese balcanico, dove è deflagrata come una bomba la notizia della “resa” dell’esecutivo alle proteste ambientaliste che, da mesi, hanno paralizzato Belgrado e altre città serbe.

Esecutivo che, per bocca della premier serba Ana Brnabić, ha annunciato la revoca delle licenze di esplorazione a Rio Tinto, permessi che erano alla base del progetto di una mega-miniera di litio – essenziale per la produzione delle moderne batterie “verdi” - nel cuore della Serbia, il cosiddetto “Progetto Jadar”. Valore dell'investimento, almeno 2,4 miliardi di dollari solo nella fase iniziale, capace sulla carta di trasformare la Serbia in uno dei dieci maggiori produttori di oro bianco a livello globale. «Tutte le decisioni» collegate al progetto «e tutte le licenze sono state annullate» a causa delle preoccupazioni della cittadinanza per il devastante impatto ambientale dell’estrazione del litio, ha illustrato Brnabić durante un intervento alla televisione. Se le sue parole non fossero state abbastanza chiare, la leader serba ha poi aggiunto.

«Per quanto riguarda il progetto Jadar», parliamo della sua «fine», ha ammesso. Fine che, ricordiamo, arriva dopo settimane di blocchi stradali e di manifestazioni organizzate in tutto lo Stato balcanico da una eterogenea coalizione di oppositori del governo e del progetto Jadar, da tempo sul piede di guerra per i potenziali rovinosi danni ambientali che l’estrazione e la trasformazione del minerale avrebbe provocato nell’area di Ložnica, dove sarebbe stata aperta la miniera e, di riflesso, nel resto del Paese, a causa del possibile inquinamento dell’aria e soprattutto dell’acqua dei fiumi. Proteste che avevano portato la tensione alle stelle, tra incidenti e provocazioni, persino arresti e scontri con la polizia agli albori della rivolta ecologica.

Ma alla fine i Davide balcanici hanno avuto la meglio, contro il governo e contro i miliardi e le promesse – di sviluppo e rispetto dell’ambiente – messe sul tavolo da Rio Tinto. «Abbiamo soddisfatto tutte le richieste dei manifestanti» e degli oppositori del progetto, tra cui la star del tennis Djoković e «abbiamo posto la parola fine a Rio Tinto in Serbia», ha ribadito Brnabić. Parole che hanno fatto tirare un sospiro di sollievo e suscitato gioia, mista a sospetto, tra gli ambientalisti e l’opposizione serba. Progetto «finito, grazie a voi, al lavoro di residenti, attivisti, organizzazione ecologiste», ha esultato Bojana Novaković, dell’associazione Mars sa Drine. «Serbia-Australia, sola andata, nome del passeggero Rio Tinto», la foto postata invece sui social da Kreni Promeni, gruppo anima delle proteste, con il suo leader, Savo Manojlović, che ha detto che «il prossimo e ultimo passo» obbligato deve essere «il divieto all’estrazione». Ma c’è anche chi ha ancora dubbi sui reali piani futuri di governo e colosso minerario. «Non sono sicuro che sia stato messo il punto definitivo» al progetto o se si tratti solo di una stasi fino alle elezioni politiche di aprile, ha lanciato l’allarme il politologo serbo Djordje Vukadinović. Nel frattempo, a mangiarsi le mani, è Rio Tinto, azienda che si è detta «estremamente preoccupata» degli sviluppi in Serbia. E che ha evocato una possibile contesa legale, per resuscitare il progetto Jadar o almeno limitare i danni.

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