La Grande Albania evocata da Kurti riaccende le tensioni con Belgrado
Bufera sul premier kosovaro favorevole alla “fusione” con Tirana. La replica serba: «Idee pericolose»
BELGRADO Provocazioni su una possibile “fusione” tra Kosovo e Albania, una prospettiva destinata a generare inevitabili apprensioni. Aperte insinuazioni su un presunto uso politico dei vaccini. E manovre per colpire i nemici nel portafoglio. Malgrado le speranze di Bruxelles – che si aspetta «progressi più rapidi» verso la normalizzazione dei rapporti bilaterali, ha rivelato in questi giorni l’Alto Rappresentante Ue agli Esteri Josep Borrell – la questione Serbia-Kosovo appare destinata a rimanere insoluta. E a innescare aspre tensioni nel cuore dei Balcani. Lo confermano le nuove scintille sull’asse tra Pristina e Belgrado, scatenate in questo caso da dichiarazioni del Gotha della politica kosovara.
Ad aprire le danze è stato il premier kosovaro Albin Kurti, che ha rispolverato un suo vecchio cavallo di battaglia, l’unificazione tra Kosovo e Albania, con immediate reazioni rabbiose a Belgrado. «Se in futuro – ha affermato il primo ministro – dovesse esserci un referendum democratico, voterei a favore» dell’unione tra nazioni albanesi. D’altronde, ha suggerito Kurti, parliamo di due Stati ma di «un unico popolo», aggiungendo che il Kosovo si è dichiarato indipendente dalla Serbia, non certo dall’Albania. E specificando tuttavia che lo scenario migliore sarebbe quello di tutti gli attuali sei Paesi dei Balcani occidentali ancora fuori dall’Ue entrare nell’Unione, senza modificare i confini.
Parole, quelle del leader kosovaro che hanno fortemente allarmato Belgrado, che legge ogni evocazione in questo senso come un tentativo di realizzare l’incubo, per la Serbia, della “Grande Albania”. La comunità internazionale deve reagire in maniera «rapida e decisa» contro uscite del genere, perché si tratta di dichiarazioni «pericolose e guerrafondaie», ha così stigmatizzato, a nome del governo serbo, Petar Petkovic, numero uno dell’Ufficio serbo per il Kosovo. «Non ci può essere un referendum pacifico e democratico sulla creazione della “Grande Albania” poiché coloro che andrebbero a votare non dispongono del Kosovo», ha aggiunto Petkovic, in riferimento al fatto che Belgrado non riconosce l’indipendenza unilaterale. Si tratta di un’altra «pietra che mina la stabilità regionale e la sicurezza», un’idea che rischia di destabilizzare i Balcani, ha stigmatizzato ieri anche la premier serba Ana Brnabic.
Ma Kurti non è stato il solo a gettare nuova benzina sul fuoco. A far salire ulteriormente i toni ha contribuito ieri anche la presidentessa kosovara, Vjosa Osmani, assieme a Kurti massima rappresentante della giovane leadership di Pristina. Osmani che ha accusato apertamente Belgrado di aver donato dosi di vaccino a Paesi africani, mossa però non da buon cuore. A suo dire la Serbia avrebbe infatti sfruttato «il vaccino russo» Sputnik V «inviandolo ad alcuni Paesi africani, a condizione che non riconoscano il Kosovo», ha sostenuto la leader. Contro di lei si è subito schierato il ministro degli Interni serbo, Aleksandar Vulin. «Solo una come Vjosa Osmani può dire una tale enorme menzogna contro la Serbia», ha replicato Vulin.
Schermaglie che arrivano in un momento delicato, con il dialogo ancora in stallo e altri politici kosovari che alzano il tiro. Lo ha fatto Beke Berisha, di centrodestra, che assieme ad altri ha chiesto che vengano banditi dal bar del Parlamento kosovaro tutti i prodotti serbi, mentre la ministra del Commerci, ha evocato possibili misure contro l’importazione di dolci da Belgrado.
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