La goriziana Ciemme sconfigge in tribunale il gigante Campari

Capita a volte che, nelle aule di giustizia, Davide sconfigga Golia. Il paragone si attaglia alla vera e propria battaglia legale e commerciale scatenata, ma alla fine persa, dal gruppo Campari, colosso a livello mondiale dell’industria delle bevande di marca (nato a Milano ancor prima dell’unità d’Italia, nel 1860) nei confronti della Ciemme, società goriziana – ancorché fondata a Pordenone nel 1948 – sorta come piccola distilleria e poi sviluppatasi negli anni come azienda produttrice, in particolare, di grappe, liquori e sciroppi. Al centro della contesa, la vendita da parte della Ciemme di un aperitivo poco alcolico, l’Aperitiff, troppo somigliante – secondo Campari – al suo “brand” più famoso, l’Aperol (inventato da Giuseppe Barbieri nella distilleria Fratelli Barbieri di Padova nel 1919, poi acquistato nel 1991 dalla Barbero 1891 che, a sua volta, nel 2003, è divenuta di proprietà del gruppo Campari). La singolare vicenda è cominciata nel luglio scorso allorchè l’Amministrazione federale delle dogane svizzera (Afd) aveva bloccato l’importazione di un carico di Aperitiff in entrata nella Confederazione elvetica al valico di Chiasso (12mila bottigliette contenute in 2000 cartoni, per un valore complessivo di circa 70 mila euro) destinate alla commercializzazione nella catena di supermercati Denner, con sede a Zurigo. Il 13 agosto la Campari, resa edotta di ciò dall'Afd, ha, quindi, presentato al tribunale di Lugano, competente per territorio, un’istanza nella quale ha chiesto l’adozione di misure cautelari tese a proibire la produzione e la vendita dell’Aperitiff e ad ottenere tutta la documentazione relativa alla commercializzazione del prodotto stesso. Il perché è presto detto: secondo gli avvocati Ivan Paparelli e Jonathan Bernasconi, patrocinatori a Lugano della Campari, «il nome, il colore, la bottiglia e la relativa etichetta» della bibita goriziana («praticamente ignota al pubblico») creavano un elevato rischio di confusione con l’Aperol («marchio conosciuto in tutto il mondo») «per la marcata e manifesta somiglianza». In sostanza, una vera e propria accusa di plagio, dal momento che i rappresentanti del gruppo milanese ravvisavano una «grave infrazione alla normativa in materia di tutela di marchi e di divieto di concorrenza sleale». Il Gruppo Campari rivendicava inoltre, in buona sostanza, la paternità dello spritz, a cui l’Aperol deve in gran parte il proprio boom esploso ai partire dai primi anni del 2000. Di fronte a questo attacco frontale volto a far sparire il loro prodotto dal mercato (oltre che nei supermercati l’Aperitiff è venduto anche nei bar), i legali goriziani della Ciemme, avvocati Daniele Compagnone e Luca Ceglia, hanno disposto un’immediata controffensiva affidandosi all’avvocato Franco Brusa di Lugano, il quale ha patrocinato la controversia avanti al Tribunale svizzero. Brusa, anche sulla base degli input ricevuti da Gorizia, ha smontato punto per punto le tesi dell’accusa, ammettendo soltanto la comune caratteristica, fra le due bevande, del colore rosso-arancione, «dettato peraltro dalla natura stessa del prodotto». Quanto allo “spritz” – ha osservato la Ciemme – «non è un’invenzione della Campari, bensì è un termine che definisce qualsiasi aperitivo alcolico a base di vino con l’aggiunta di un bitter e di seltz». Fatto sta che il Tribunale di Lugano, chiamato a pronunciarsi il 21 settembre sul caso sulla base dell’istanza di Campari e delle osservazioni di Ciemme, ha accolto in pieno le ragioni dell’azienda goriziana, affermando – dopo aver esaminato nel dettaglio la forma, il contenuto e le etichette degli “aperitivi della discordia” – che non vi sono rischi di confusione né di errore nell’attribuzione del prodotto. La domanda del gruppo milanese è stata quindi rigettata e allo stesso sono state poste a carico le spese processuali. Ora però la Ciemme sta valutando l’ipotesi di intentare causa alla Campari per chiedere il risarcimento dei danni. (vi.co.)
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