La giornata dei pendolari transfrontalieri: chi rischia la sanzione chi si è messo in fila per fare il test
TRIESTE «Ho attraversato il confine senza problemi. Non c’era nessuno. Io non avevo fatto il tampone, ma mi sono detto: rischio, vediamo che cosa succede». Ore 13.13 di venerdì 5 febbraio. È il primo giorno dell’applicazione delle disposizioni di Lubiana, poi annullate in serata, che impongono il tampone anche ai lavoratori transfrontalieri. Ma Igor Castellani, 62 anni, che dal 1986 ogni mattina lascia la sua casa in Slovenia per raggiungere Trieste, dove lavora, ha deciso di non adempiere alla richiesta del Paese ospitante. «Perché dovrei farlo? – si chiede - Se lo Stato decide l’obbligo del test per noi, deve dotarsi anche degli strumenti necessari e fare al confine i test veloci. In quel caso attendo anche 10 minuti. Adesso, comunque, vediamo che cosa succede. È pazzesco: mai vista una cosa così in 30 anni».
Se qualcuno rischia, altri si attrezzano. È il caso dei vertici della Ilcam di Cormons, azienda produttrice di frontali per l’industria del mobile, che si fanno carico dei tamponi per i dipendenti sloveni, circa una ventina. «Abbiamo informato della direttiva i nostri lavoratori transfrontalieri – spiegano dall’ufficio personale – e abbiamo organizzato le sedute per il tampone rapido prima dell’inizio turno. Questo è stato possibile perché da dicembre per l’emergenza sanitaria è stata assunta un’infermiera a disposizione dei lavoratori che collabora con il medico competente. Altrimenti i lavoratori avrebbero dovuto fare i test in Slovenia, pagarli e fare la fila».
Tra chi ha usufruito del servizio c’è Dragan Puhalic, 60 anni, da trenta alla Ilcam. «Vado sempre su e giù da Nova Gorica – racconta Dragan -. Oggi sono arrivato sul posto di lavoro un quarto d’ora prima per fare il test. È comunque una disposizione particolare, perché viene emanata proprio ora che il Friuli Venezia Giulia è in zona gialla e in Slovenia stanno per riaprire scuole, mercati di vestiti, musei».
Non farà, per il momento, la spola tra Gorizia e Nova Gorica Mara Cernic, abituata ad andare dalla sorella nella cittadina oltreconfine. È un’europrogettista e lavora all’Euroservis di Trieste, oltre a essere componente dell’Assemblea del Gect Go, il Gruppo europeo di Cooperazione territoriale tra i comuni di Gorizia, Nova Gorica e Senpter-Vrtojba. «Fino al 4 febbraio non era richiesto il tampone a chi abitava sulla fascia confinaria e andava dall’altra parte. E io abitavo vicino alla Transalpina. Secondo me – ragione a voce alta – il governo sloveno ha sbagliato qualcosa. Viene così rimarcato un confine che non c’era più».
Il nuovo obbligo interessa da vicino anche molti genitori con figli iscritti in scuole oltreconfine. È il caso di Luisa, mamma di una bimba di otto anni che abita a Muggia ma frequenta una classe italiana a Crevatini. Le scuole in Slovenia sono state chiuse dal governo dopo pochi giorni nonostante le proteste dei genitori e riapriranno martedì. «Spero che nel frattempo il governo modifichi le regole, visto che c’è tempo: lunedì c’è festa nazionale per la Giornata di France Prešeren. Se non cambia nulla, io comunque non farò il tampone e se mi fermeranno e non potremo raggiungere la classe, farò frequentare a mia figlia le lezioni a distanza. Non posso permettermi di fare un tampone alla settimana, il costo è troppo elevato. Farò leva comunque sul mio certificato di fine quarantena per dimostrare che ho avuto il Covid e quindi che dovrei essere esonerata dal test». Ha seguito alla lettera le regole Tine Može, 40 anni, che da Capodistria ogni giorno raggiunge Trieste per allenare le squadre giovanili del club Yacht Club Adriaco. «Faccio lavoro-casa, casa-lavoro. E, appena appresa la notizia, che girava da giorni, mi sono organizzato per fare stamattina il tampone con altri tre colleghi - afferma -. È una seccatura, ma bisogna stare alle regole». A Capodistria, quindi, ha fatto il tampone veloce che in Slovenia per ora è gratuito, ma pare sarà a pagamento nei prossimi giorni. «In fila c’erano tantissime persone: saremo stati almeno 300, tra ragazzi e adulti». —
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