«La fretta del vescovo, spia di una Chiesa nel disagio»
Non dà giudizi. Non può perché - precisa subito - non è al corrente degli sviluppi della vicenda. Soprattutto, non vuole perché «non sono nessuno per farlo». Ma Vito Mancuso - autorevole teologo “fuori dalle mura” come si lascia volentieri definire, dalle posizioni assai discusse e in parte avversate nella Chiesa, ex giovanissimo sacerdote ordinato da Carlo Maria Martini, poi sposato e padre di due figli - accetta di ragionare su alcuni dei nodi che incrociano la triste storia di don Maks Suard e della ex ragazzina che fu vittima delle sue attenzioni.
I fedeli di lingua slovena di Santa Croce - e non solo loro - hanno additato la fretta con cui il vescovo Crepaldi ha reso nota una vicenda di tanti anni fa. Cosa ne pensa?
Sfido chiunque giudica a dire che cosa egli stesso avrebbe fatto. Io non lo so. In passato si sapeva bene come agire, le cose erano abbastanza chiare: tutti dovevano essere totalmente al servizio della struttura ecclesiastica, proteggerne l'onorabilità, anzitutto - come dire - salvare la ditta. Basti pensare al “segreto pontificio” invocato sui casi di pedofilia in una lettera scritta dall'allora cardinale Ratzinger come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Successivamente nella Chiesa si è assistito a un grande cambiamento di strategia a causa di campagne di stampa con valanghe di documenti e di prove: tutto ciò - occorre essere sereni nel dirlo - non è scaturito dalla coscienza della Chiesa ma le è stato imposto da fuori. Vi si è dovuto adattare Ratzinger divenuto papa, e direi che anche l'impostazione più radicale di papa Francesco continua a essere una reazione a una pressione esterna.
Un cambio di rotta tanto radicale quanto destabilizzante a gestirsi?
Appunto, è un precipitare degli eventi che crea un senso di disagio. Non parlo di ipocrisia, lungi da me il farlo, ma in questa situazione cui si è pervenuti spinti da forze esterne e non in base a un processo maturato lentamente si capisce la difficoltà di un vescovo che può trovarsi a non avere quella distanza giusta della mente per valutare, per discernere, per prendere tempo e capire cosa sia giusto, preso com'è dalla fretta, e forse anche dalla paura. Così si spiega un vescovo che ha deciso di agire forse prevenendo che qualcun altro facesse esplodere il caso. Ha fatto bene? Ha fatto male? Io non lo so, obiettivamente la sua non era una posizione facile. Quello che so è che se in precedenza occorreva coprire, oggi occorre scoprire. Capisco anche benissimo la reazione della comunità di Santa Croce che si è sentita offesa, né mi sento di giudicarla, anche se ci sono pesi e contrappesi da valutare quando le persone si trovano a rivestire ruoli istituzionali. E di tutto ciò bisogna tenere conto.
Vicende simili interrogano comunque anche su un tema antico, quello della sessualità negata ai sacerdoti.
La Chiesa, se non intende continuare a far finta di nulla in quello che è un lento ma progressivo declino, dovrebbe fare un costante cammino di approfondimento: sarebbe auspicabile che un prossimo Sinodo venisse dedicato alla vita religiosa e al nodo della sessualità. Perché non vi sono dubbi che tanto gli episodi di pedofilia quanto di violenze o relazioni sessuali all'interno delle parrocchie sono legati a quella che per un prete può essere una gestione non serena della sessualità. Sia chiaro, ci sono casi di persone sposate e pedofile, il filo fra pedofilia e sacerdozio non è univoco; così come ci sono persone del clero - il cardinale Martini, che ho conosciuto bene, ne era una prova - che hanno sublimato la propria vita sessuale nel modo più alto e bello. Ma con il nodo della sessualità, che è diventato un macigno per la Chiesa, occorre arrivare a fare i conti. Il calo delle vocazioni è spaventoso, pensare di potervi fare fronte con preti in arrivo dall'Africa o dall'Asia - che per ovvie distanze culturali faticano a essere efficaci nel loro compito di evangelizzazione - è un escamotage di basso profilo. E non ci sono dubbi che il calo delle vocazioni e l'abbandono del sacerdozio hanno molto a che fare con il problema della sessualità. Un tema su cui la Chiesa deve fare qualcosa: si dovrebbe giungere all'ordinazione di "viri probati", cioè persone mature che hanno già una famiglia e possono diventare presbiteri. E aprire anche per i preti giovani all'esercizio dell'affettività mediante una vita familiare, come accade in altre confessioni cristiane.
Don Suard ha scelto il suicidio, gesto inaccettabile per la Chiesa, lasciando scritto di un "macigno" per lui insopportabile.
Capisco il suicidio da parte di una persona che non condivide una visione di fede o possibilità di una vita futura e si ritiene l'unico padrone della propria esistenza. Ma che un prete si suicidi è una grande sconfitta del senso della vita cristiana, giacché se il cristianesimo ha un senso è quello dell'annuncio dell’eterna misericordia, della possibilità - anche a fronte delle tragedie più grandi - di ripartire, di rinnovarsi. Il suicidio di don Suard evoca poi il grande tema del fare i conti fino in fondo con la propria storia, con il proprio peccato.
Da un’antica omertà e dal male fatto a una vittima, fino alla vita negata. Forse una richiesta di perdono estrema.
Il cuore umano è insondabile. Il suicidio oggettivamente rimane una dichiarazione di sconfitta a livello personale, e anche di sfiducia nei confronti della grazia di Dio. Però soggettivamente da parte di chi lo ha commesso può assumere un altro significato e divenire un volersi consegnare nelle braccia di Dio e farla finita con questa vita in cui non si trova alcun tipo di speranza. Può quindi essere stato una richiesta estrema di perdono. E io spero che sia davvero così.
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