La figlia come una schiava, condannato

Cinque anni al padre-padrone, un bulgaro di 43 anni: la obbligava a chiedere l’elemosina e la picchiava
Una ragazza mentre chiede l'elemosina
Una ragazza mentre chiede l'elemosina

Cinque anni di galera per aver trattato la figlia come una schiava.

Una storia terribile. Nata da queste dichiarazioni. «Spesso vengo picchiata perché non porto abbastanza elemosine», aveva detto in lacrime la ragazza - 21 anni - ai poliziotti che l’avevano raggiunta. La ragazza non sa né leggere, né scrivere. Non è mai andata a ballare e non ha mai praticato uno sport e nemmeno giocato con una bambola. Non sa cosa sia un cellulare. Per tutta la sua vita è stata tenuta in schiavitù: ogni giorno seduta a terra a chiedere l'elemosina ai passanti. Tenendo lo sguardo basso lo ha fatto per mesi nel sottopassaggio della stazione raccogliendo le monetine dei viaggiatori e dei passanti frettolosi. E ogni sera ha consegnato il denaro raccolto al padre-padrone. Il quale addirittura le proibiva di spostarsi dal luogo “di lavoro” per bere, mangiare o andare in bagno. Se lo faceva la ragazza veniva punita con pugni e calci, senza pietà

Il padre-padrone si chiama Ivan Kirchev Ognyanov, bulgaro di 43 anni: a pronunciare la sentenza di condanna, al termine del processo celebrato con rito abbreviato, è stato il giudice Luigi Dainotti. Ha sostanzialmente accolto le richieste del pm Federico Frezza: 6 anni e 8 mesi. Il bulgaro è stato difeso dall’avvocato Giovanna Augusta de’ Manzano.

Le indagini dei poliziotti della Mobile diretti da Roberto Giacomelli sono scattate nel 2013. Era il mese di gennaio. Gli agenti avevano trovato quella ragazza infreddolita in ginocchio nel sottopassaggio della stazione. Con non poche difficoltà erano riusciti a convincerla a raccontare la sua drammatica storia. «Sono arrivata a Trieste circa un mese e mezzo fa (ndr, in gennaio 2013). - aveva detto - Precedentemente ero stata in Grecia. La mia vera madre che vive in Bulgaria a Sofia non si è mai curata di me. Sono sempre rimasta con il mio padre naturale, Ivan Ognyanov. Non so né leggere, né scrivere, né leggere l'orologio. La mia famiglia non mi ha mai mandata a scuola. Quando eravamo in Grecia chiedevamo l'elemosina perché non avevamo denaro né di che vivere».

Ancora: «Poiché c’era la crisi economica mio padre ha portato tutta la sua famiglia a Trieste a bordo di un furgone bianco. Lui di notte dorme lì, mentre io e le altre donne veniamo ospitate negli alloggi di fortuna del Comune. Anche a Trieste sono stata costretta a chiedere l'elemosina. Appena giunti in questa città mio padre mi ha picchiata con pugni e schiaffi obbigandomi a chiedere l'elemosina. Non l’ho mai voluto fare, ma mio padre mi ha sempre costretta.

«Mi ha costretto a stare ininterrottamente seduta nel sottopassaggio della stazione. Non mi posso spostare, non posso bere, non posso mangiare e neanche andare in bagno. Non oso disobbedire perché mio padre mi picchierebbe ancora».

E ancora aveva spiegato: «Mio padre ritira il denaro alla sera. Io gli consegno tutto. Devo rigirare le fodere delle tasche per dimostrargli che non ho trattenuto nulla per me. Poi vado a prendere i panini dalle persone che ce li regalano (ndr, i volontari di don Vatta)». Accuse pesantissime che poi sono state integrate da una serie di accertamenti da parte degli investigatori della seconda sezione della Mobile. È addirittura emerso che la giovane in passato era stata anche violentata dal padre. Dal quale un paio di volte è fugggita, ma l’uomo poi è riuscito a rintracciarla.

Ivan Kirchev Ognyanov è stato arrestato nel mese di marzo 2013, dopo un paio di mesi di indagini. I poliziotti lo hanno bloccato nei pressi della stazione. Era appena arrivato dalla Bulgaria.

Ma gli agenti avevano anche scoperto che la figlia non era stata l'unica vittima. Erano comparsi i nomi di altri minorenni e maggiorenni costretti a domandare l'elemosina. Impiegati nell'accattonaggio, sia in Italia ma anche in Germania e in Austria.

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