La felicità è nel cervello ed è ereditaria

Studi scientifici dimostrano come gli sbalzi d'umore siano strettamente legati al volume del cervello, alla predisposizione genetica e alla chimica. Aperto il dibattito con i filosofi

Se pensate che essere felici sia una questione metafisica, un'estrazione dello spirito o uno stato dell'anima ebbene vi sbagliate di grosso. Quello che noi consideriamo un'esperienza soggettiva non soltanto può essere misurata in maniera quantitativa ma ha anche un preciso substrato anatomico.

Uno studio condotto con la risonanza magnetica nucleare, appena pubblicato a firma di un gruppo di ricercatori della Kyoto University, mostra come il senso di felicità dipenda dal volume della materia grigia presente in una specifica regione del cervello, il precuneo del lobulo parietale destro. La stessa regione cerebrale è anche quella che regola l'intensità delle nostre emozioni negative e controlla la sensazione per cui ci prefissiamo in maniera più o meno decisa un obiettivo nella nostra vita.

Immagino che una schiera di filosofi, da Aristotele a Bentham, che hanno teorizzato che la felicità rappresenta l'obiettivo ultimo della vita non saranno particolarmente contenti di veder ridotto un sentimento così cruciale a una mera massa di neuroni. E tantomeno di sapere, come una vasta serie di studi ha dimostrato negli ultimi 20 anni, che il senso di essere felici è strettamente dipendente dai geni che abbiamo ereditato.

Più di 30 studi sulla genetica della felicità condotti su coppie di gemelli mostrano come dal 35 al 50% della probabilità di essere felici dipende dal nostro Dna. I fattori ambientali sono sì importanti, ma spesso ricchezza e fortuna poco possono contro la predisposizione genetica ad assaporarle. I geni implicati sono quelli che controllano la produzione e il funzionamento dei neurotrasmettitori cerebrali, le piccole molecole chimiche che consentono la comunicazione tra i neuroni. Le variazioni genetiche nell'enzima Maoa modulano i livelli di serotonina, adrenalina e dopamina, e regolano quindi felicità, umore e aggressività. Quelle del gene del trasportatore della serotonina modificano i livelli di questo neurotrasmettitore; se è basso, siamo infelici. Una singola variazione in uno dei recettori dei cannabinoidi, quelli stimolati dalla marijuana, ci rende più o meno sensibili agli stimoli emozionali positivi.

Diceva Arthur Schopenhauer che l'uomo nasce destinato a essere infelice. Nulla di più falso: il nostro destino di essere felici o tristi alla fine è soltanto il risultato di una miscela di stimoli chimici in una specifica regione del cervello. E già si comincia a parlare di programmi educativi per raggiungere la felicità basati su previa indagine genetica e successiva valutazione del successo utilizzando la risonanza magnetica nucleare.

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