La famiglia di Farra affetta da distrofia, una speranza per battere l’Aids

Marisa e Jessica, madre e figlia, soffrono di una malattia rara che è resistente al virus dell’Hiv. Equipe pubblica uno studio

FARRA Da una rarissima forma di distrofia muscolare ereditaria – che colpisce appena 200 persone in tutto il mondo, tutte imparentate – alla speranza di una cura non solo per sé, ma per milioni di persone. Passa anche da Farra d’Isonzo il caso che sta facendo discutere la comunità scientifica internazionale: sono infatti originarie del piccolo paese isontino le uniche due persone in Italia ad essere affette da una rarissima forma di distrofia muscolare (nota come distrofia dei cingoli), patologia che – per assurdo – potrebbe però portare in dote anche una speranza su scala planetaria. Perché chi ne soffre, al tempo stesso è resistente al virus dell’Hiv. Il che spalanca prospettive di ricerca impensabili anche alla lotta all’Aids.

Da una rara forma di distrofia muscolare ereditaria una speranza per battere l’Aids


Se ne è accorta la prestigiosa rivista scientifica Plos Pathogens, che in questi giorni ha pubblicato i risultati di uno studio condotto dall’Istituto Carlos III di Madrid in collaborazione con altri laboratori europei. Come si diceva, in tutto questo c’è anche un pizzico di Isontino: perché le due donne che combattono quotidianamente la loro battaglia contro la distrofia muscolare dei cingoli sono una mamma e una figlia: Marisa Caballero, di origine spagnola, e sua figlia Jessica Furlan, dipendente pubblico oggi residente a Fogliano Redipuglia, attive nella branca italiana dell’associazione Conquistando Escalones – in spagnolo “conquistando scalini” – che si batte per raccogliere fondi per la ricerca.

Malattie rare, lo strano caso di Farra
La famiglia di origine spagnola con diramazioni a Farra


«Abbiamo scelto questo nome per le conquiste che speriamo di fare, gradino dopo gradino – spiega Jessica con il suo timbro di voce positivo e contagioso – ma anche perché la vita di noi malati è segnata dagli scalini: uno dei primi sintomi è quello di fare fatica a salire le scale. A volte anche gesti semplici come pettinarsi, mangiare, tenere in braccio un bimbo sono impossibili». Ora, campagna dopo campagna, l’associazione è riuscita nel suo intento: dare visibilità a una scoperta la cui rilevanza potrebbe essere rivoluzionaria.



«Si stanno accorgendo di noi e la cosa è motivo di emozione» commenta Jessica, che spiega quanto sia complicata la quotidianità: «Questa malattia non ha dei sintomi evidenti: fino agli stadi finali non sembra sia così grave. Spesso siamo costretti a scontrarci con giudizi o indifferenza – racconta-. Le difficoltà iniziano da bambino, quando vedi che i tuoi amici corrono, saltano, e tu non puoi far altro che stare in un angolo».

Una prima svolta era arrivata nel 2013, dopo la scoperta del gene che provoca la distrofia. La proteina coinvolta è la stessa che permette all’Hiv di riprodursi. «La mutazione di questo gene rende i malati come me e la mamma immuni al virus dell’Aids. Possiamo essere la chiave per la possibile cura di milioni di persone, oltre che per noi stessi. E la pubblicazione di questo recente studio, finanziato grazie al crowfunding dei malati e dell’associazione, apre prospettive importanti, che sognavamo da tempo». L’ulteriore “chiave” scoperta dai ricercatori spagnoli è un difetto nel gene della Trasportina 3, la causa della distrofia dei cingoli e che a sua volta li protegge dall’infezione da Hiv. Questa ipotesi è stata confermata dal recente studio.

Secondo i ricercatori dell’Istituto, la scoperta consente da un lato di capire in che modo l’Hiv raggiunge il nucleo cellulare ed infetta, ma anche di spiegare perché la mutazione nella Trasportina 3 provoca la malattia muscolare nei malati di distrofia dei cingoli. «Siamo di fronte ad una situazione eccezionale, su un confine comune tra malattie rare e malattie infettive, – affermano la dottoressa Sara Rodríguez-Mora, prima firmataria dello studio pubblicato, ed i co-autori dottor Mayte Coiras e dottor José Alcamí, ricercatori dell’Unità di Immunopatologia dell’Aids dell’Istituto di Salute Carlos III –. Se riuscissimo a capire i meccanismi potremmo progettare strategie farmacologiche e di terapia genica per bloccare da un lato l’infezione da Hiv nei linfociti e dall’altro per annullare l’azione del gene e quindi migliorare i sintomi della distrofia dei cingoli». —


 

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