La doppia anima di Barcola: mare e borgo rurale

Tutt’oggi il rione rimane in sospeso tra questa ambiguità, tra chi vorrebbe puntare sullo sviluppo balneare e chi vorrebbe invece preservare l’identità storica

Zeno Saracino
Una carrellata di foto che riflettono le due anime di Barcola (Lasorte)
Una carrellata di foto che riflettono le due anime di Barcola (Lasorte)

Correva l’anno 1887 quando un operaio a Barcola, intento a costruire il muro della fabbrica per la produzione di ghiaccio artificiale “De Zahoy”, scoprì un frammento di mosaico romano. Gli scavi furono interrotti ed ebbe inizio una campagna archeologica che rivelò, con le parole dell’intellettuale Filippo Zamboni, una “Pompei in miniatura”.

Quel mistero della Villa delle Cipolle, un frammento di Russia a Barcola
La villa delle cipolle a Barcola (Lasorte)

Questa “seconda Posillipo”, specie col ritrovamento della statua del “Palestrita”, suscitò un intenso dibattito sui giornali, incentrati sull’opportunità o meno di conservare il tracciato delle ville.

La natura ambigua di Barcola

Tuttavia il discorso era molto più ampio e s’interrogava sulla natura stessa di Barcola: una natura che, per molti residenti storici, si andava perdendo. A seguito infatti del completamento della via di Miramar (1859), dell’arrivo della prima linea di tram a cavalli (1883) e dall’inaugurazione del bagno Excelsior (1889), il rione di Barcola aveva conosciuto in gran fretta la costruzione di numerose ville della borghesia, destinate a modificare il panorama fino a quel momento rurale.

Tutt’oggi il rione mantiene quest’ambiguità, sospinto in direzioni contrarie e differenti: tra chi desidererebbe trasformare Barcola in una stazione balneare tale da competere con le spiagge dell’Istria e del Veneto e chi, specie i locali, osserva che si smarrirebbe l’identità di piccolo borgo che ne garantisce l’unicità.

Gli edifici più antichi

In quest’ambito, nella fase precedente all’avvento dell’industria balneare, sono due gli edifici che si contendono nel rione di Barcola il titolo di antichità: la chiesa rionale e la torre turca di via Aurelio Nicolodi 11.

La chiesa di Barcola risalente al Trecento
La chiesa di Barcola risalente al Trecento

La chiesa di Barcola

La chiesa di Barcola ha origini trecentesche: in origine vi era infatti una cappella dedicata a San Bartolomeo, il cui ruolo fu accresciuto nel 1462 dal vescovo Enea Silvio Piccolomini, grazie al privilegio di concedere l’indulgenza nel giorno di festa del santo.

Lo sviluppo dell’abitato di Barcola portò, verso l’ultimo quarto del Settecento, a incorporare la parrocchia di Sant’Antonio e Opicina: una crescita spirituale a cui seguì quella materiale nella seconda metà dell’Ottocento, finanziata dallo stesso Massimiliano d’Asburgo e dalla moglie Carlotta. Curiosità: il rosone, collocato nel 1931, proviene dalla chiesa di San Rocco un tempo presente in piazza Unità.

Il rosone proviene da una chiesa in piazza Unità
Il rosone proviene da una chiesa in piazza Unità

La torre turca

Incerta invece la provenienza della torre turca, situata a fianco della casa della famiglia triestina dei Giuliani: la struttura si presenta come un torrione a tre piani, con una balconata di legno sottostante il tetto dalle fogge medievali.

Uno stemma in pietra, datato 1719, reca le lettere FLDMC al di sopra dell’ingresso. Tuttavia, nonostante appaia antica, la torre non ha né una datazione, né una storia precisa: lo stesso vincolo della Soprintendenza, apposto nel 1940, rimane generico.

Appare probabile come fosse o un silo per il grano o una vedetta; lo studioso Dino Cafagna, con riferimento alla funzione militare, ricorda che vi è una torre simile, del 1487, a Corgnale/Lokev.

La torre turca con lo stemma di pietra
La torre turca con lo stemma di pietra

Il fronte mare

Il profilo odierno di Barcola rimane però legato a quel fronte mare più e più volte rimodellato ed esteso, all’interno di quell’elastico rapporto con una cittadinanza consapevole di dover avere maggiori spazi della sola strada per la balneazione e i timori legati a un impatto ambientale già un secolo fa evidente.

Il dibattito oggigiorno deve però considerare come, nella zona antistante i Topolini, giungendo fino alla Riserva marina protetta, sopravviva ancora una notevole presenza della Pinna Nobilis; e come d’altronde, a causa del cambiamento climatico, mareggiate come l’ultima del 2023 siano ora un fenomeno molto più probabile e frequente.

La pineta sul terrapieno 

In tal senso è significativo il caso della pineta sul terrapieno di Barcola la quale, dall’iniziale riprovazione, è ora uno degli elementi centrali del rione. Il terrapieno, costruito con materiali di riporto e in molti casi inquinati negli anni Cinquanta, non si presentò infatti bene: Il Piccolo del 31 luglio 1956 osservava che «ha sollevato molte perplessità negli abitanti della zona, soprattutto nel timore che la libera visuale del mare avrebbe potuto essere ostacolata da edifici o costruzioni erette sul piazzale stesso». Vi si prevedevano, a cura dell’Azienda autonoma di soggiorno e turismo, «aiuole e fiori e fontane, una nuova piacevole alternativa per le passeggiate estive».

Tuttavia il piazzale rimase incompiuto: due anni dopo Il Piccolo osservava che, scendendo dal tram, c’era solo «un arido piazzale» e, prima di giungere al mare, «fango, buche e terriccio». C’era un nomignolo che ricorreva all’epoca continuamente ed era “la palude”.

Eppure c’era un disperato bisogno di nuovi spazi per la balneazione, considerando come nei weekend «dal bivio di Miramare al bagno di Cedas, una fittissima siepe umana lasciava intravedere solo fugacemente piccoli spicchi di mare» (3 giugno 1958).

La pineta ideata alla fine degli anni Cinquanta
La pineta ideata alla fine degli anni Cinquanta

L’ipotesi funivia

Dopo aver spianato «le gibbosità» e le «erbacce paludose», si procedette nel 1958 «all’acquisto di alberi, che saranno posti a dimora, a cura dell’Ufficio Piantagioni del Comune». Era l’inizio della famosa pineta, per la quale l‘Associazione degli albergatori chiedeva l’inserimento di impianti sportivi come «campi di tennis, pattinaggio, mini golf» e «nel quale potrebbe anche inserirsi l’impianto della funivia Cedas – Vedetta d’Italia, secondo un progetto elaborato dall’ing. Privileggi ancora prima della guerra» (3 giugno 1960).

Non se ne fece nulla, ma la pineta progettata dal professor Duilio Cosma crebbe e prosperò, sebbene con un ulteriore strascico di polemiche, negli anni Sessanta, legato all’installazione della fontana luminosa.

L’inaccessibilità del fronte mare

Il problema dello spazio per i bagnanti non è d’altronde nuovo ed è aggravato dalla generale inaccessibilità del frontemare: se il terrapieno e, sempre nel 1950, la costruzione dei Topolini ha consentito di ridare fiato alle strutture balneari, altri spazi oggigiorno rimangono inaccessibili.

L’ex Bagno Excelsior ora appartamenti privati
L’ex Bagno Excelsior ora appartamenti privati

Il Bagno Excelsior

La perdita maggiore in quest’ambito è il Bagno Excelsior, gioiello della Trieste fin de siecle. Nato nel 1887 grazie al genio imprenditoriale di Alessandro Cesare Di Salvore, l’Excelsior era uno stabilimento di qualità, dotato di 450 cabine, un ristorante, spazi per teatri e cafè chantant. Il gusto architettonico era quello neogotico; non a caso poco distante tutt’oggi sorge il castelletto di viale Miramare 58, a propria volta possesso dei Salvore.

Il castelletto accanto al porticciolo
Il castelletto accanto al porticciolo

Il Bagno rimase operativo fino agli anni Ottanta, quando venne chiuso per ragioni tecniche: nonostante la legge Galasso sancisca che il fronte mare è bene demaniale, si scelse in una fase successiva di applicare alla proprietà privata la vecchia norma austriaca, con la costruzione tra il 1994 e il 2003 di diversi condomini privati. —

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