La disperazione dei ristoratori di Trieste: «Ora almeno ci risarciscano in fretta»
TRIESTE La tanto temuta scure è arrivata. Saranno festività da lockdown, che metteranno in ginocchio soprattutto il mondo della ristorazione. Se per i negozi gli acquisti natalizi saranno di fatto conclusi, e molte altre categorie tra artigiani e servizi chiuderanno per le vacanze come gli anni scorsi, per i locali lo stop rappresenta quello che molti definiscono «una tragedia». Ma anche «una presa in giro».
Il divieto del pranzo di Natale, in particolare, avrà conseguenze pesanti sulle tasche di chi aveva già registrato parecchie prenotazioni, talvolta anche per il 26 dicembre. I fornitori vanno pagati, la merce per alcuni è già arrivata e non si potrà utilizzare. Una perdita, grave, che si aggiunge ai magri introiti dei mesi scorsi. E non va giù nemmeno la tempistica con un annuncio che arriva il 18 dicembre, quando ormai, come detto, tutto era stato organizzato. Anche questo, per i titolari di molte attività tra bar, ristoranti, pizzerie, è qualcosa di inaccettabile. Ieri sera anche i social si sono immediatamente riempiti di proteste e sfoghi.
«Bisogna combattere la pandemia ma non si possono lasciar morire le aziende», commenta Gianluca Madriz, presidente di Confcommercio Gorizia: «Andiamo avanti da mesi con annunci serali, quei proclami dell’ultimo minuto ai quali bisogna adeguarsi subito. E questo modo di fare ha creato, anche in questi giorni, tanta confusione sia tra gli operatori sia tra i cittadini. Ed è gravissimo. È il momento più importante dell’anno per il commercio, certo qualcosa finora si è mosso, e restare aperti anche il 24 dicembre ci avrebbe permesso di recuperare ancora un po’ di più. In ogni caso serve pensare seriamente a ristori immediati e risorse per le categorie più colpite».
Considerazioni simili per Antonio Paoletti, presidente della Camera di commercio della Venezia Giulia e di Confcommercio Trieste: «Con le ultime restrizioni si danneggiano tutti, in primo luogo i locali e di conseguenza anche i negozi. Forse era meglio chiudere a novembre per due settimane, salvando così il Natale. In questo momento credo sia urgente trovare aiuti soprattutto per la ristorazione, spostare le tasse e prevedere ristori rapidi. Altrimenti temo che molti saranno costretti a chiudere».
Delusi e arrabbiati i diretti interessati, quei ristoratori già pronti per allestire tavoli e sale soprattutto per il pranzo del 25 dicembre, e che si preparano invece a lasciare a casa nuovamente il personale.
«Sono moto avvilita», così Marinella Ferigo, presidente dell’Associazione Cuochi Fvg: «Di recente ero collegata con il Consiglio nazionale del nostro gruppo. La maggior parte sono cuochi ma anche titolari di local: tutti disperati. Le ipotesi dovevano essere due a mio parere: si lascia aperto o si chiude ma si prevedono sostegni economici veloci. Questa situazione altalenante invece è stata devastante. Tutti abbiamo fatto la spesa, e adesso? Non paghiamo i fornitori? Rischiando di mettere in difficoltà anche loro? La cosa che più mi preoccupa sono i giovani. Se si va avanti così, per loro non vedo futuro». E sulle ultime novità interviene anche il referente dell’Associazione Cuochi di Trieste e titolare del ristorante “Arco di Riccardo” Luca Gioiello: «Oltre al danno la beffa. Con le misure restrittive alla sera, la gente veniva a pranzo e lo avrebbe fatto anche durante le festività. Per noi tutti il periodo poteva rappresentare una boccata d’ossigeno. Invece il ristorante viene visto ancora come “untore”». «Di fronte a una festività di questo calibro – dice Federica Suban, presidente della Fipe Trieste e titolare del ristorante di famiglia – veniamo avvisati all’ultimo minuto che andrà tutto in fumo. Premetto che noi non sottovalutiamo affatto il problema sanitario, ma non è questo il mondo rispettare le imprese. Butteremo un mucchio di merce, e nelle prossime ore il nostro lavoro consisterà nel contattare e avvisare quanti avevano già prenotato: per la Vigilia e per Natale c’era il tutto esaurito. Pretendiamo indennizzi, rapidi, che ci ripaghino di quanto stiamo subendo».—
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