«La destra in questo Paese non ha fatto i conti col passato»

Moni Ovadia propone una serie di confronti. «Bulgari e danesi si opposero alle discriminazioni e gli italiani no. La Germania poi è un paese che ha metabolizzato il regime nazista»
Moni Ovadia durante la conferenza stampa per il diritto di cantanti e musicisti alla raccolta diretta dei propri compensi e non attraverso i produttori discografici, nella Sala Nassiriya del Senato. Roma 23 marzo 2016. ANSA/ANGELO CARCONI
Moni Ovadia durante la conferenza stampa per il diritto di cantanti e musicisti alla raccolta diretta dei propri compensi e non attraverso i produttori discografici, nella Sala Nassiriya del Senato. Roma 23 marzo 2016. ANSA/ANGELO CARCONI

TRIESTE «Sulla questione del manifesto contestato, voglio subito dire che sono al fianco dei ragazzi del Petrarca, senza se e senza ma. Sul fatto poi che l’altra sera alla presentazione del documentario al Teatro Miela non ci fosse nessun rappresentante dell’amministrazione non mi stupisce affatto». La pensa così Moni Ovadia, attore e scrittore nato a Filippopoli, in Bulgaria, di origine ebraica.

Ovadia, perché, a 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali, ancora non si riesce a superare e a celebrare, pacificamente, quel triste avvenimento?

Partiamo subito da una premessa. A differenza di un paese come la Francia dove il centrodestra, chiamiamolo gollista, è sempre stato antifascista, da noi questo non è avvenuto. Finché c’era la Democrazia cristiana – che pure aveva una forte componente di destra che però veniva tenuta a bada – il partito ha sempre rivendicato l’antifascismo. La vera destra italiana, invece, non è mai stata antifascista. Si è baloccata in una idea ignobile: quella degli italiani brava gente. Ma l’Italia non si può qualificare come un paese di brava gente perché quando cacciarono i bambini dalle scuole nessuno disse niente, così come quando fu chiesto il giuramento al fascismo solo 11 o 12 professori dissero no. Vuole degli esempi di paesi di brava gente? I bulgari e i danesi. Dissero: giù le mani dai nostri cittadini. In Bulgaria il paese si mobilitò, compresi i deputati ultraconservatori del parlamento e la chiesa. Il vescovo della mia città si mise tutti i paramenti e si sdraiò sui binari. Non parliamo poi dei danesi: il re si mise il bracciale con la stella gialla.

Una questione a Trieste forse sentita ancora di più rispetto al resto del Paese.

Certamente. Trieste è stata una città particolarmente colpita: mentre in tutta Italia gli ebrei erano l’uno per mille, a Trieste erano il 5%. Qui c’è stato il maggior numero di delazioni di ebrei. Una questione che qui quindi è più forte e che si intreccia, poi, con la questione dei titini, che la destra ha letto in modo revanscista.

Com’è la condizione della memoria su questi temi nel nostro Paese?

C’è ancora chi esalta oggi quel regime genocida guidato da un criminale di guerra. Finché non usciamo da questa logica, è chiaro che queste cose continueranno a ripetersi. Bisogna affermare un principio e stanare le destre dicendo: in Italia democrazia e antifascismo sono sinonimi. Non si può dichiararsi democratici senza essere antifascisti. Comportandosi così l’amministrazione cerca di eludere la questione, mentre invece bisognerebbe andare in fondo una volta per tutte. Sa qual è il problema? Non aver avuto dopo la guerra una Norimberga. Con il risultato che viviamo in un paese che su questi temi è sempre in un perenne stato di tensione. Guardiamo la Germania: è un paese che ha fatto pienamente i conti con il proprio passato. La Merkel, che non era ancora nata all’epoca, si assume le responsabilità del regime nazista ancora oggi. E la Merkel appartiene a una forza di centrodestra. Da noi, invece, no. Abbiamo la Mussolini che va in tv a dire quanto era bravo il nonno.

In Italia persiste forte anche il problema dell’antisemitismo. Una ricerca di qualche tempo fa affermava che un italiano su cinque si dichiara tale. Preoccupante?

L’antisemitismo non cessa, è una latenza che continua. E continuerà finché non si cambierà l’immaginario collettivo attraverso l’educazione. Una latenza che è giusto tenere sotto controllo. –

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