La cura più giusta con la lettura del Dna
TRIESTE Francis Collins, genetista statunitense che con il suo team, il 26 giugno del 2000, ha reso noto al mondo di aver completato il sequenziamento del genoma umano, è stato il primo a farsi analizzare il Dna. Da allora l'hanno fatto in tanti perché oggi è possibile analizzare il Dna con tecnologie sempre più efficaci e costi sempre minori. Su internet si trovano società che si offrono di leggere il nostro Dna per poche centinaia di euro. Ma una volta ottenuto, nero su bianco, il nostro profilo genetico, cosa possiamo aspettarci da questa ricostruzione? Ne abbiamo discusso con Alberto Tommasini, pediatra immunologo del Burlo, che introdurrà l'incontro “Conoscere il Dna aiuta a curare meglio?”, oggi alle 12 all'Area Talk del gazebo di piazza Unità. L'incontro vede la partecipazione di Giuseppe Novelli, genetista sperimentale e rettore dell'Università di Roma “Tor Vergata”, Angelo Selicorni, genetista pediatra all'Ospedale San Gerardo di Monza, Serena Zacchigna, ricercatrice all'Icgeb e del giornalista scientifico Sergio Pistoi, autore del saggio “Il Dna incontra Facebook”, che modererà gli interventi.
«Se ottenere il proprio profilo genetico sta diventando sempre più un'operazione alla portata di tutti – spiega Tommasini – molto spesso una diagnosi genetica non è in grado di influire sulle scelte terapeutiche. L'analisi genetica ha senso quando si cerca di rispondere a un problema concreto. Per le malattie genetiche, per esempio, ci sono casi in cui la conoscenza del profilo genetico del paziente può cambiare drasticamente le scelte terapeutiche, in modo da agire con i farmaci proprio sulla molecola colpita dalla mutazione. Nell'ambito di studi clinici ciò è successo con la fibrosi cistica: per certi tipi di mutazione è possibile migliorare il problema attraverso i farmaci. Ma, come spiegherà meglio Serena Zacchigna, siamo ancora lontani dallo sviluppo di una terapia genica efficace per la fibrosi cistica, e lo stesso si può dire per la distrofia muscolare, mentre per certi tipi di immunodeficienze siamo a buon punto: ce ne sono almeno tre, l'Ada-Scid, la “Bubble Boy Syndrome” e la Sindrome di Wiskott Aldrich, per le quali in Italia è possibile effettuare, nel caso in cui non siano disponibili alternative, una terapia genica efficace. In futuro questo tipo di terapia potrebbe diventare la prima indicazione di cura».
La scienza non offre un cambiamento radicale e immediato nelle possibilità di cura, ma strumenti che vanno valutati caso per caso e che progrediscono per piccoli passi successivi. Perciò anche davanti a un avanzamento vertiginoso delle prospettive terapeutiche è necessario adottare un atteggiamento prudente, per evitare un eccesso di aspettative che non sempre potrebbero avere un reale riscontro. Lo stesso vale per la farmacogenetica e se ne discute in un altro incontro domani alle 12.
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