La cura dei cani randagi affidata ai detenuti serbi
BELGRADO. Come affrontare due problemi di difficile soluzione e all’apparenza inconciliabili, quello del randagismo e quello della risocializzazione e del reinserimento nella società dei carcerati? Una soluzione inedita arriva da Sremska Mitrovica, in Serbia, cittadina a nord di Belgrado che ospita una delle carceri più grandi del Paese. E che ha – come tante altre città serbe e dei Balcani – un serio problema con i cani randagi. È proprio a Sremska Mitrovica è stato lanciato alla fine dello scorso anno un progetto innovativo, che continua ad attirare l'attenzione.
Progetto che ha visto la creazione in un’area esterna della prigione, all’aria aperta, di un canile dove i quattro zampe randagi vengono alloggiati. La novità consiste nel fatto che i cani sono curati e persino addestrati da un gruppo di carcerati, selezionati fra quelli condannati a pene meno severe. A raccontare i dettagli del progetto sono stati svariati media, tra cui l’agenzia Associated Press e la rivista locale M-Novine, con sede proprio a Sremska Mitrovica, che è entrata direttamente nel carcere per analizzare l’iniziativa.
Rivista che ha specificato che sono al momento «263 i cani randagi» raccolti nelle vie della città negli ultimi mesi e ora affidati a «sei carcerati», vigilati da tre ufficiali della prigione. Il cuore del progetto, sostenuto anche dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (Osce), è il canile nel carcere, realizzato in un ex area destinata all'allevamento, che può contare sul rispetto di «tutte le necessarie condizioni igieniche» e sulla «totale assistenza sanitaria» per gli animali, oltre naturalmente alla fornitura regolare di «cibo e acqua». I carcerati selezionati hanno invece il compiuto di prendersi cura giornalmente dei cani, accudirli, pulire le loro cucce, curarli, dar loro da mangiare e persino addestrarli a rispondere ai comandi più semplici.
Fra i prescelti, ha raccontato la rivista, un 25enne di Titel, Dragan Pejković, che si è fatto portavoce degli altri prigionieri-addestratori, lodando l’iniziativa e assicurando che il tempo in carcere passa più velocemente nella cura degli animali. «Amo i cani, ne abbiamo sempre avuti in casa», ha detto Dragan, illustrando poi il suo lavoro di addestramento. Lavoro che ha dato frutti, con una decina di cani che hanno già trovato una sistemazione e un padrone. «Mi è difficile» vederli partire, «perché mi affeziono ai cani, ma dall’altra parte ne sono felice perché so che hanno trovato una nuova casa», ha detto Dragan. Il progetto, aveva raccontato a fine novembre la Tv pubblica serba al momento della firma di un’intesa con l’Osce, è il primo del genere in chiave risocializzazione in un carcere del Paese balcanico. Ed è importante, perché aiuta sicuramente la futura «reintegrazione e insieme l’accettazione» dei carcerati nella società, ha specificato al tempo il direttore della prigione, Aleksandar Alimpić.
Progetto forse circoscritto, ma di grande e concreto effetto, aveva assicurato lo stesso sindaco di Sremska Mitrovica, Vladimir Sanader. E magari da imitare per trovare soluzioni al problema delle decine di migliaia di cani randagi che vagano in tutti i Balcani, spesso affrontato con metodi sbrigativi. O persino con avvelenamenti di massa organizzati da mano ignota, come registrato nei mesi scorsi a Mladenovac, in Serbia, ma anche a Zenica e a Teslić, in Bosnia.
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