La crociata polacca contro i diritti Lgbt cerca sponde nel Gruppo di Visegrad

Dalle zone “gay free” allo stop alle leggi sull’aborto. Varsavia punta a dar vita ad una alleanza pro famiglia patriarcale 

BELGRADO Abbandonare la mai amata Convenzione di Istanbul, promossa dal Consiglio d’Europa per prevenire la violenza sulle donne. E lanciare - coinvolgendo altri Paesi dell’Est - un progetto alternativo, sulla carta per la difesa della famiglia tradizionale, ma che potrebbe rivelarsi anche la pietra tombale per diritti Lgbt oltre ad affossare la legislazione relativa all’aborto. Sono i contorni del conflitto che sta covando sotto le ceneri nell’Europa centro-orientale e nei Balcani, protagonista la Polonia, assieme all’Ungheria di Orban fra i Paesi europei dove populismo e nazionalismo sono vigorosi e intrecciati. Polonia dove le autorità al potere, influenzate dal think tank di ultradestra “Ordo Iuris”, starebbero considerando la sostituzione della Convenzione con una sorta di trattato per la difesa della famiglia patriarcale.

A far luce sul sogno di restaurazione, fra gli altri, è stato il portale Reporting Democracy, che ha svelato che l’idea in cantiere a Varsavia è già stata condivisa «con almeno quattro governi» della regione, Slovacchia, Cechia, Slovenia e Croazia, mentre porte aperte dovrebbero trovarsi sicuramente in Ungheria, che ha sottoscritto ma non ratificato la Convenzione. La condivisione sarebbe arrivata con una lettera firmata dal ministero polacco della Giustizia, guidato da quel Zbigniew Ziobro che l’anno scorso aveva anticipato la volontà di uscire dal Trattato di Istanbul e che in passato aveva definito lo strumento giuridico «un’invenzione» artificiale e di marchio «femminista per giustificare l’ideologia gay».

Il futuro è però diverso. Se i piani di Varsavia si concretizzeranno, in Polonia - e nelle altri parti dell’Est che vorranno condividere la svolta - si punterà su un nuovo trattato, focalizzato su un sostegno privilegiato ai temi che scaldano il cuore delle destre dell’Europa centro-orientale. Fra essi, ha svelato Reporting Democracy, «la protezione della vita del bimbo concepito», una formula che sottintende restrizioni alla possibilità di abortire, già oggi realtà in Polonia. Ma c’è anche la difesa della famiglia tradizionale «dalle costanti minacce» che riceverebbe in quest’epoca, altra circonlocuzione finalizzata a bloccare una volta per tutte l’estensione di diritti quali matrimonio e adozione per le coppie gay. La via per centrare l’obiettivo sarebbe appunto l’uscita dalla Convenzione di Istanbul e la nascita di un nuovo trattato confezionato su misura.

La Polonia, come la Turchia di Erdogan, manovrano per «smantellare democrazia e stato di diritto», ha accusato via Twitter l’eurodeputata verde Terry Reintke. Smantellamento che è stata coltivato anche e soprattutto nei corridoi dell’Istituto Ordo Iuris, ben collegato con il partito al potere a Varsavia, Diritto e Giustizia (Pis), soprattutto attraverso il suo numero uno, Jerzy Kwasniewski, inserito fra le 28 personalità più potenti d’Europa da “Politico” e fra le anime nere delle controverse “zone libere da Lgbt”, fiorite in Polonia negli ultimi anni e oggi arrivate ad essere più di cento. Zone, ricordiamo, che sono state rigettate di recente con forza dall’Europarlamento, che ha dichiarato l’intera Europa una grande «zona libera» per e non contro gay e lesbiche.

Le manovre polacche potrebbero trovare comunque un appoggio presso gli alleati più fedeli del Gruppo Visegrad, in particolare in quell’Ungheria che a dicembre ha approvato emendamenti costituzionali per togliere ogni speranza di adozione alle coppie gay. E non è detto che anche la Slovenia di Jansa, sempre più affine a Varsavia e a Budapest, non faccia un pensierino sulla svolta fondamentalista. —
 

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