La criminologa Marano: «La perizia su Liliana lascia aperti troppi dubbi»
«Tante cose non tornano. E c’è un dettaglio sull’orologio che stride con i fatti»
TRIESTE La matassa di dubbi che da mesi avvolge la morte di Liliana Resinovich non viene sbrogliata dalle trapelate conclusioni che gli esperti incaricati dal sostituto procuratore Maddalena Chergia hanno messo nero su bianco nella loro relazione, dopo aver effettuato l’esame autoptico e quello tossicologico sul corpo della 63enne. Ne è convinta Gabriella Marano, la criminologa e psicologa clinica e forense nella squadra dei consulenti che Penelope – l’associazione a cui Sergio, fratello della Resinovich, si è affidato come parte civile – ha messo in campo per tentare di dare un contributo alla risoluzione di questo giallo.
«Troppe cose non tornano – afferma la professionista – e quanto emerge dai risultati delle analisi effettuate dai consulenti della Procura, non consegna alla famiglia di Liliana una verità». A destare molti dubbi, per la criminologa, sarebbe soprattutto il fatto che i consulenti della Procura, i medici legali Fulvio Costantinides e Fabio Cavalli, nelle loro conclusioni indicherebbero che la Resinovich si sarebbe suicidata due o al massimo tre giorni prima che il suo corpo venisse ritrovato, il 5 gennaio scorso, nell’ex Opp. «Ci sono troppi elementi discordanti – sostiene –, la relazione non si sposa con i fatti». E cita alcuni elementi: «C’è un particolare dell’orologio rosa che Liliana portava al polso e che per questioni di riservatezza non posso rivelare, che stride con i fatti. E poi c’è la questione legata ai test tossicologici». Ricordiamo che i test tossicologici hanno escluso Lilly avesse assunto droghe o altre sostanze xenobiotiche, mentre nelle urine sono state trovate tracce di un’aspirina e una tachipirina, oltre che di un integratore vitaminico che la donna assumeva al mattino per combattere l’osteoporosi. Nel suo stomaco è stata rilevata la presenza di caffeina e teobromina, e uvette. «Se la donna ha vagato per due settimane – si chiede la criminologa –, se ha vissuto per tutto quel tempo come una senzatetto, dove avrebbe consumato quella colazione? Qualcuno le ha portato il caffè e le uvette e magari l’integratore? E lei dopo aver assunto l’integratore per combattere l’osteoporosi si sarebbe infilata dei sacchetti in testa per uccidersi? È assurdo, contro ogni logica».
Altro dettaglio da valutare, a detta di Marano, è poi quello della borsa. «Risulterebbe – spiega – che la donna sia uscita di casa con la borsa mezza vuota, senza documenti, soldi e green pass, e le videocamere che l’hanno immortalata non raccontano di valige, zaini o altre borse che potessero contenere viveri o qualcosa per poter sopravvivere tanti giorni fuori da casa. Senza contare che sarebbe dovuta stare nascosta, visto che mezza Italia la cercava». La consulente del fratello di Lilly ribadisce inoltre «che il profilo di Liliana non si sposa con un’azione suicidaria. Attendiamo il deposito formale della consulenza, di acquisire gli atti e poi di approfondire. Anche un suicidio, come un omicidio, ha bisogno di un movente».
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