La Corte dei conti romana riabilita le spese pazze dei partiti

A leggere la sentenza, depositata il 30 luglio, delle Sezioni riunite della Corte dei conti, grandi e piccoli “Batman” tireranno un sospiro di sollievo. Anche quelli del Friuli Venezia Giulia, pizzicati dal gommista e in armeria, a sommare scontrini da pochi centesimi come da centinaia di euro. Perché, smontando la tesi dei colleghi dell’Emilia Romagna, la magistratura contabile, a firma Arturo Martucci di Scarfizzi, giudica «discrezionali» le spese dei gruppi per rappresentanza, accoglienza, ospitalità, missioni. Accostando alla discrezionalità, il concetto, dell’«insindacabile». Parole chiare che fanno dire al legale triestino Giovanni Borgna: «Il discorso è riaperto anche in regione, sul contabile come sul penale».
Un ribaltone, insomma, rispetto a quanto si è raccontato di Franco “Batman” Fiorito, il primo e più famoso protagonista delle rimborsopoli regionali, e dei suoi seguaci. Lo sottolineava ieri Sergio Rizzo sul Corriere della Sera citando alcuni passaggi della sentenza che accoglie il ricorso dei nove gruppi dell’Emilia Romagna contro le delibere della sezione regionale di controllo sui rendiconti 2013. Una vicenda non diversa da quelle del Friuli Venezia Giulia e di altre Regioni italiane. Fatti prelevare dalla Gdf centinaia di faldoni a Palazzo, la Corte dei conti dell’Emilia Romagna comunicò l’estate scorsa al presidente Vasco Errani di avere rilevato irregolarità nei rimborsi ai consiglieri per centinaia di migliaia di euro per pranzi, cene, manifestazioni politiche, viaggi. Senza risparmiare nessuno dei nove gruppi consiliari, grillini compresi.
Passato un anno, le Sezioni riunite accolgono i ricorsi degli eletti considerando compatibili le uscite pubbliche 2012, poi rimborsate, con i fini istituzionali della politica. Quelle spese rientrano «nelle categorie indicate dalle linee guida» e ciascuna di esse «è riconducibile all’attività istituzionale del gruppo consiliare». E ancora non si possono considerare «palesemente irrazionali, illogiche o incongrue quanto alla tipologia del bene, alla quantità acquistata o al prezzo corrisposto». Non lo è, si legge tra l’altro nella sentenza, «l’acquisto del sistema di documentazione giuridica da parte della Lega Nord, né l’acquisto della rassegna stampa da parte dell’Idv e nemmeno le spese per acquisto di quotidiani e per il servizio di consulenza e di ricerca svolto dalla Fondazione Gramsci da parte del Pd». Perché si tratta «di spese inerenti all’attività di studio, ricerca, informazione circa le problematiche socio economiche insistenti sul territorio che un gruppo assembleare regionale non soltanto può, ma che deve svolgere».
In sostanza, la Corte dei conti nazionale ritiene la documentazione allegata e le giustificazioni fornite dai gruppi sufficienti a superare i rilievi della sezione regionale. Non solo.
Fissa anche il principio che un gruppo assembleare di un Consiglio regionale «ha un rapporto stretto con il territorio e l’attività politica è contraddistinta da una dialettica costante con gli elettori». «Se c’è religione, se ne dovrà tenere conto» dice a caldo, pur senza entrare nel merito, uno dei consiglieri Fvg che si è visto contestare la libertà di rimborso. La tesi della difesa, in quasi tutti i casi, è che si è trattato di euro spesi per attività politico-istituzionale. Proprio come accaduto, secondo la Corte dei conti, in Emilia Romagna. «La sentenza va approfondita, ma già emergono punti fondamentali: le lacune normative del settore e l’autonomia gestionale dei gruppi, garantita peraltro dalla Costituzione», assicura l’avvocato Borgna, difensore sul fronte amministrativo dei vari Ballaman, Marini, Tononi, Bucci, Camber e Valenti e, su quello penale, anche della leghista Piccin. In appello, non c’è dubbio, la sentenza sull’Emilia Romagna verrà citata eccome.
Stando a quanto trapela dalla Corte dei conti regionale, la convinzione rimane però quella che molte spese in piazza Oberdan rimangono comunque indifendibili. Il procuratore generale Maurizio Zappatori non commenta se non precisando che il supporto per l’accusa rimane l’«irrazionalità». In poche parole, decine di spese dei consiglieri regionali vengono ritenute non pertinenti con le finalità istituzionali. Irrazionali, appunto.
Come quelle, in qualche caso già condannate dalla sezione giurisdizionale della magistratura contabile, di Antonio Pedicini che si fa rimborsare l'acquisto di pneumatici invernali, di Bruno Marini che recupera i soldi di cene elettorali e svariate consumazioni in gelateria, dei leghisti Federico Razzini, a tagliarsi i capelli, e Enore Picco, in armeria per comprare cavalletti e attrezzi per macchine fotografiche «per poter compiere la mole di lavoro – così la racconta lui – su sentieri, letti dei fiumi e manutenzione idraulica».
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